L’Editoriale 

Gaza. Una crisi breve, sanguinosa e soprattutto inutile

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:7 maggio 2019

L’accordo di cessate il fuoco a Gaza, mediato ancora una volta dagli egiziani, si basa sugli stessi punti raggiunti già un mese e mezzo fa, nel pieno della campagna elettorale israeliana: permesso al Qatar di far affluire 25 milioni di dollari al mese nelle esauste casse di Hamas, maggior afflusso di beni ai valichi di frontiera con Israele, allargamento a 25 miglia dalla costa del permesso di pesca.

In cambio, Netanyahu aveva ottenuto la calma necessaria per arrivare alla scadenza del voto e vincere ancora una volta le elezioni. In sostanza, Hamas ha puntato sulla sua vittoria.

Ma, il giorno dopo, le cose si sono fatte più difficili: la maggioranza di centro destra si è ristretta di due seggi (da 67 a 65), molti partiti di estrema destra che dovrebbero comporre la maggioranza fanno resistenza, le cose si sono complicate anche in Cisgiordania, e quindi il leader israeliano ha finito per prendere tempo, cosa in cui peraltro è maestro, rinviando l’applicazione di quegli accordi.

Così, Hamas, Jihad Islamico e le altre formazioni minori a Gaza hanno pensato bene di riprendere il lancio di razzi e missili per stanarlo, fino all’ultima escalation dei giorni scorsi, cui Israele ha risposto con massicci bombardamenti su obbiettivi strategici nella Striscia, e anche con la ripresa degli assassinii mirati di quadri militari delle formazioni islamiche, una pratica interrotta oramai da molti anni.

A questo punto, si materializzava la rinnovata mediazione egiziana, e gli scontri venivano sospesi.

Il bilancio è grave e sanguinoso: 4 israeliani e 25 palestinesi uccisi (tra cui donne e bambini), 700 razzi sul territorio israeliano, che oltre ai morti e ai feriti hanno paralizzato per giorni il Centro Sud del paese, 320 bombardamenti sulla Striscia, per tornare infine esattamente al punto di partenza.

Quella che pare del tutto assente è una strategia: Quelle condizioni minime ristabilite a Gaza possono servire a riportare lo Status quo, a ottenere un po’ di calma, ma il fuoco continua a covare sotto la cenere.

Quella seconda fase del negoziato, di cui si parla da anni, con i grandi investimenti infrastrutturali (il porto, l’aeroporto, il possibile collegamento via Cipro, i finanziamenti necessari per ricostruire Gaza dopo le terribili distruzioni del 2015 e per rilanciarne l’economia, in parallelo con l’avvio di una trattativa per lo scambio dei prigionieri israeliani detenuti da Hamas, ed una tregua di lungo periodo, resta un’araba fenice che non si materializza: troppe le resistenze interne al centro-destra israeliano, cui talora non mancano di associarsi le opposizioni di centro-sinistra, la concorrenza tra i gruppi jihadisti a Gaza, l’accanita resistenza da parte del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abbas, che non vuole essere emarginato e scavalcato, come un accordo di tal fatta farebbe.

Una tregua di lungo periodo, invece, potrebbe convenire sia a Netanyahu, che potrebbe mantenere ferma la situazione e l’attuale stato di divisione tra Cisgiordania e Gaza, sia ad Hamas, che potrebbe consolidarsi senza essere costretto a riconoscere l’odiata “entità sionista”.

Anche in prospettiva, la leadership di Hamas ha più frecce al suo arco dell’Autorità palestinese, oramai alle corde e stretta da una crisi finanziaria che sta portandola all’asfissia: in una situazione di rinnovata stabilità, Gaza potrebbe qualificarsi come naturale hub di smistamento e di raccordo, tra Israele ed Egitto, rispetto alle aspirazioni di nuova proiezione verso il Mediterraneo dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi. Non a caso è a Gaza che guarda con particolare attenzione il tante volte preannunciato “Deal of the century” di Donald Trump.

Articolo per Huffington Post Italia 

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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