L’Editoriale 

Annapolis un anno dopo. Quale Medio Oriente attende Obama

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:6 novembre 2008

“Un percorso di riflessione e di proposta: un’iniziativa italiana per il rilancio del Piano di Pace Arabo”. Progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri – Segreteria Generale Unità Analisi e Programmazione, contributo straordinario ex art. 2 della legge 948/82 per l’anno 2007. 

1. Introduzione

Il Medio Oriente che si troverà davanti Barack Obama è una regione solcata da tensioni sempre più acute e da un accentuato processo di polarizzazione, a quasi un anno dalla Conferenza di Annapolis, che aveva come obbiettivo il rilancio del negoziato israelo–palestinese–arabo, e dopo le forzate dimissioni del premier israeliano Olmert.

Si discuterà a lungo sull’importanza di quella Conferenza. Tuttavia le va riconosciuto il merito di aver superato, di fatto (pur riconfermandola a parole), la concezione stessa della Road Map, il collo di bottiglia che aveva paralizzato per anni il processo negoziale: mentre nella Road Map l’adempimento delle misure di fiducia, previste in una prima fase dei negoziati, era preliminare all’apertura dei negoziati finali, previsti nella terza, dopo la conferenza le due componenti erano destinate a viaggiare in parallelo, anche se la implementazione dell’accordo finale era subordinata al raggiungimento degli obbiettivi previsti nella la prima fase. Della seconda fase, che prevedeva la creazione di uno Stato palestinese entro confini provvisori (che i palestinesi temevano potessero divenire definitivi), non si parlava più.

L’altro elemento di grande rilievo è stata la partecipazione del mondo arabo. Numerosi stati arabi erano presenti, ed anche la stessa Lega araba, e l’Arabia Saudita era di fatto alla guida della delegazione. Ciò rappresentava una chiara scelta di campo, un appoggio deciso alla scelta negoziale del Presidente Mahmud Abbas, che partiva dalla consapevolezza che da soli israeliani e palestinesi non erano più in grado di fare la pace, perché troppo deboli. Si trattava di uno sviluppo conseguente del Piano arabo di pace, approvato a Beirut nel 2002 e rilanciato nel marzo 2007 dal Vertice di Riad. Il Piano proponeva a Israele una pace piena con tutti gli Stati arabi in cambio della restituzione dei territori arabi occupati nel ’67 e la creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est, nonché una soluzione “giusta e concordata” del problema dei rifugiati palestinesi. Quel Piano rappresentava, dopo l’archiviazione di fatto della Road Map, l’unica concreta proposta negoziale sul tappeto.

Di grande importanza è stata altresì la dichiarata disponibilità della Siria alla scelta negoziale, con la sua presenza ad Annapolis, dopo che erano state superate le radicate resistenze statunitensi e israeliane.

In realtà, a quell’invito si era arrivati dopo un lungo travaglio, che aveva finito per modificare la stessa iniziale concezione dell’iniziativa. La Conferenza di Annapolis era stata convocata, dopo il colpo militare attuato da Hamas a Gaza nel giugno 2007, come una chiamata a raccolta dei buoni contro i cattivi, o, per dirla con un significativo editoriale pubblicato da Aalon Liel sul quotidiano israeliano Ha’aretz, “dei cow boys contro gli indiani”: Israele, l’Autorità Palestinese del Presidente Mahmud Abbas, l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita e gli altri Stati arabi moderati, contro Hamas, gli Hezbollah, la Siria, l’Iran, e tutti gli altri soggetti inclusi nell’”Asse del Male”.

Questo schema, tuttavia, aveva dimostrato ben presto di non essere in grado di funzionare: escludere aprioristicamente uno Stato come la Siria faceva saltare i presupposti su cui era stato costruito il Piano Arabo. Quel piano era stato votato alla unanimità da tutti gli Stati arabi, e quindi Arabia Saudita ed Egitto non potevano accettare l’esclusione pregiudiziale di alcuni fra essi, e la spaccatura della Lega araba.

Malgrado la lunga resistenza israeliana a mettere sul tavolo negoziale anche la questione del Golan, e la dichiarata ostilità statunitense, di fronte alla minaccia dei maggiori Stati arabi di non partecipare alla conferenza, alla fine la Siria veniva invitata, e partecipava a livello del viceministro degli Esteri, Fayssal al-Mekdad, anche se il problema del Golan veniva affrontato solo lateralmente, in tono minore rispetto alla questione israelo-palestinese, su cui era concentrata la Conferenza. Quella presenza rompeva una lunga interdizione, e apriva la strada ai successivi importanti sviluppi del 2008. E lasciava naturalmente più debole e sguarnito il cosiddetto fronte del rifiuto.

Questi i successivi paragrafi:
2. Gli sviluppi nella situazione regionale
3. La nuova centralità siriana
4. Il rafforzamento iraniano
5. L’ascesa di Hezbollah
6. Hamas
7. La situazione in Cisgiordania
8. La possibile ricomposizione interpalestinese
9. Uno, due, tre stati tra Israele e Palestina?
10. La questione della minoranza Arabo-israeliana
11. Lo stallo israeliano
12. La riscoperta del Piano arabo

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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