L’Editoriale
Intervista a Cingoli su Avvenire
di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
Data pubblicazione: 29 dicembre 2005
Ore di estrema incertezza all’interno del Fatah. Forse la vera svolta del dopo Arafat si sta consumando in queste ore.
Janiki Cingoli, direttore del Centro per la pace in Medio Oriente (Cipmo), siamo a un cambio della guardia o Abu Mazen contrasterà la leadership estremista di Barghouti?
Non definirei Barghouti un estremista. È un personaggio complesso, che ha commesso molti errori, ma la sua linea è stata quella di un compromesso con Israele. Ricordo che nel ’98 Barghouti capeggiò una delegazione del Fatah a un seminario segreto con il Likud organizzato dal Cipmo: ottenne il rispetto dei suoi interlocutori, molti divenuti ministri di Sharon, ora confluiti in Kadima. Rapporti che non si sono mai interrotti.
È fisiologico che questa nuova generazione che ha diretto l’Intifada sottentri alla vecchia. Questo è anche un confronto fra la dirigenza dell’Anp venuta da Tunisi (Arafat, Abu Ala, Abu Mazen) e chi ha combattuto pure la prima Intifada. Marwan Barghouti, come ebbe a dirmi lui stesso nel nostro primo incontro a Gerusalemme, costituisce un ponte fra queste due generazioni di al-Fatah. È stato a lungo in carcere, poi espulso a Tunisi. È espressione della base, ma ha pure conosciuto l’esilio.
Chi sono i “quarantenni”?
Questa nuova generazione ha una formazione tutta politica: ha una visione più democratica del partito, ma non ha esperienza di governo. Il punto è se riuscirà a stringere una alleanza con la parte più innovativa della vecchia guardia (Abu Mazen) e arginare la parte più legata ad Arafat, corrotta e scredita. Ma anche se sapranno attrarre il ceto intermedio dell’Anp che ha capacità di governo. Diversamente rischiano di essere dei piccoli Arafat senza averne la grandezza.
Questa nuova generazione potrebbe allearsi con Hamas? Non si rischia di vanificare il tentativo di riformare l’Anp?
L’alleanza con Hamas è stata prettamente militare, non ideologica. Questi uomini non sono certo fondamentalisti. L’istituzionalizzazione di Hamas è un’operazione che Abu Mazen ha condotto di comune accordo con la nuova guardia di Barghouti. Ma nel momento in cui si legalizza Hamas, si crea una concorrenza con al-Fatah. Hamas rischia di vincere come ha vinto tutte le amministrative: o al-Fatah è capace di ricreare legami con la società oppure Hamas che si occupa di ospedali, di assistenza ai bambini e agli anziani prevarrà. Se al-Fatah mostrerà di gestire solamente il potere soccomberà. Da un lato Hamas può avere una evoluzione tipo movimento islamico in Turchia o restare espressione dell’estremismo di tipo iraniano da cui è fortemente influenzata. D’altra parte al-Fatah è un “partito-Stato” nato come movimento di liberazione nazionale con l’imprinting sovietico. Al-Fatah, questa è la domanda, è destinato a sfaldarsi di fronte all’urto del movimento islamico oppure manterrà un radicamento sociale più profondo?
A fine gennaio la posta in gioco è solo il cambio di una classe dirigente, o la stabilità della regione?
Tutti i sondaggi dicono che se Barghouti sarà capolista al-Fatah avrà la maggioranza e Hamas il 30%. Un risultato gestibile. Questo in uno scenario di grande movimento in cui va considerato pure lo sviluppo interno di Israele che sembra rendere credibile una ripresa del processo di pace. In conclusione, se Barghouti emergesse, in questo momento sarebbe il leader palestinese più credibile. Un giudizio che, anche se è ufficialmente smentito, so essere condiviso da importanti politici israeliani.
NOTE SULL'AUTORE
Janiki Cingoli
Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.
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