L’Editoriale
Medio Oriente. I vincenti e i perdenti
di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
Data pubblicazione: 27 gennaio 2017
La Conferenza di Astana sulla Siria, iniziata lo scorso 24 gennaio, segna un punto di svolta nelle vicende mediorientali. I tre promotori, Russia, Turchia ed Iran, per la prima volta sono riusciti a riunire insieme i rappresentanti del regime di Assad ed i gruppi armati dei ribelli, ad esclusione di ISIS e dei gruppi legati a Al-Qaeda, ed a raggiungere un accordo di tregua tra le parti, che sarà seguita da un “Comitato di monitoraggio” costituito dai tre organizzatori della Conferenza.
Da notare che alla Conferenza hanno “partecipato” l’Ambasciatore Usa in Kazakistan, George Krol, e l’inviato speciale dell’ONU, Staffan de Mistura. L’UE non è stata menzionata: l’Alto Rappresentante della UE, Federica Mogherini, in una sua dichiarazione ha dichiarato di puntare le sue carte sulla Conferenza ONU, che si terrà a Ginevra il prossimo 8 febbraio, volta a raggiungere una soluzione complessiva di quel conflitto.
Non avrebbe potuto esserci una rappresentazione più plastica di chi ha vinto e di chi ha perso in Siria: Russia e Iran, cui all’ultimo momento con una rapida conversione ad U si è aggregata la Turchia, per lungo tempo sostenitrice dei più estremi gruppi armati anti Assad, dettano ora le condizioni di soluzione della crisi. Il traballante Regime di Assad ne esce consolidato, come partecipante indiscusso al processo di transizione, i cosiddetti ribelli moderati si aggregano al carro dei vincitori, ricercando una soluzione di compromesso con il regime, mentre ISIS ed i Qaedisti di Al-Nusra devono ora attendere l’attacco concentrico dei tre alleati, cui si aggiungerà la coalizione guidata dagli USA, secondo le nuove priorità indicate dal Presidente Trump, che pone al primo posto la sconfitta dei terroristi, ricercando l’alleanza con la Russia.
Di fatto, gli USA riconoscono che la Siria rientra come ai vecchi tempi nella sfera di influenza russa, e non sembrano dannarsi l’anima per questo.
Quanto alla Turchia, allineata sull’asse Mosca Teheran, e contemporaneamente membro della NATO, non sembra soffrire molto per la doppiezza della sua posizione, da cui spera al contrario di trarre il massimo vantaggio.
Non è detto che gli interessi di Russia ed Iran coincidano totalmente: l’Iran vuole consolidare quello che esso chiama “l’Arco della Resistenza” che altri hanno definito la Mezzaluna sciita, e che comprende, oltre all’Iran, l’Iraq, la Siria di Assad e gli Hezbollah libanesi. La Russia invece non è intenzionata a lasciarsi impantanare in una costosa guerra di lunga durata, tipo Afghanistan, e pare più propensa a ricercare una soluzione politica della crisi, che includa i gruppi moderati della rivolta anti Assad, tra cui sono forti i Fratelli Musulmani. Quanto alla Turchia, il suo interesse precipuo è evitare che ai suoi confini nasca in Siria una Entità nazionale curda, che costituirebbe un essenziale polo di attrazione e di riferimento per la forte minoranza curda della Turchia, alimentandone le spinte separatiste.
Ma oggi l’allineamento dei tre è forte, ed esce consolidato dalla Conferenza di Astana.
I perdenti sono in primo luogo i regimi sunniti di stampo wahabita, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, grandi finanziatori della rivolta anti Assad e che si trovano totalmente spiazzati dalla svolta in corso.
Diverso il caso dell’Egitto, che già da tempo guarda alla Russia come possibile fornitore di armi alternativo rispetto ai sempre più contingentati aiuti militari americani, e che ha accettato di allinearsi all’ipotesi almeno temporanea di una permanenza al potere di Assad. La rottura con l’Arabia Saudita che ne è derivata, con la brusca chiusura dei finanziamenti e dei rifornimenti di petrolio da parte di Riad, ha costretto l’Egitto a rivolgersi all’Iraq per i suoi rifornimenti energetici, il che ha determinato un suo sempre più forte collegamento con la coalizione guidata dalla Russia. Le prime ripercussioni si hanno anche nei rapporti con la Turchia, che mostrano primi segni di ripresa, dopo la rottura delle relazioni del 2013, determinata dal rifiuto di Erdogan di riconoscere la deposizione del Presidente Morsi e l’ascesa al potere di Al-Sisi.
Per Israele, poi, Assad è sempre stato considerato “il miglior nemico, anche se lo Stato ebraico guarda con preoccupazione all’accresciuto peso esercitato dall’Iran in tutta l’area. Da notare il consolidamento delle relazioni con la Russia. I contatti tra Netanyahu e Putin sono oramai almeno settimanali, e non è un caso che l’Ambasciatore russo all’Onu, dopo una accorata telefonata del leader israeliano al Presidente russo, avesse cercato all’ultimo minuto, senza riuscirci, di far rinviare il voto del Consiglio di Sicurezza 2334 dell’ONU contro gli insediamenti israeliani, poi approvata con l’astensione degli Usa al termine della presidenza Obama. Né è casuale che la Russia non abbia inviato il proprio Ministro degli Esteri alla recente Conferenza di Parigi sul Medio Oriente del 15 gennaio, facendosi rappresentare dal suo Ambasciatore a Parigi. I legami tra Russia e Israele si vanno sempre più consolidando, favoriti dal milione di ebrei russi emigrati in Israele all’inizio degli anni ’90 (che hanno mantenuto stretti rapporti anche economici con l’antica madre-patria), ed anche dal grande interesse che per la Russia riveste il know-how tecnologico israeliano.
D’altronde, il rinnovato asse Usa-Gran Bretagna, anche a proposito della partita mediorientale, lascia l’Europa frastornata e marginalizzata: la sua assenza da Astana è stata al riguardo illuminante, come il tono minore con cui oramai quello che veniva chiamato l’Occidente si presenta sulla scena mediorientale.
Da vedere ora se la possibile connessione tra Trump e Putin, di cui si attendono i primi passi, non possa riverberarsi anche sul secolare conflitto israelo-palestinese, mettendo il Governo israeliano di fronte ad una posizione ed una proposta di mediazione congiunte, che sarebbe difficile non tenere in considerazione.
NOTE SULL'AUTORE
Janiki Cingoli
Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.
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