L’Editoriale

I 6 parametri di Kerry per porre fine al conflitto israelo-palestinese

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 30 dicembre 2017

Come Clinton nel dicembre 2000, allo scadere del suo mandato, anche il segretario di Stato Usa, John Kerry, a 23 giorni dall’insediamento del nuovo presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio, ha elencato, al termine di un appassionato intervento di un’ora, i sei punti cardinali necessari, a suo avviso, per porre fine al conflitto israelo-palestinese, e lo ha fatto sicuramente in accordo con il presidente uscente, Barack Obama.

La prima cosa che viene da osservare, come fa Barak Ravid sul quotidiano israeliano Ha’aretz, è che se queste proposte le avesse avanzate tre anni fa, alla fine dell’aprile 2014, allo scadere della sua iniziativa di pace, certo avrebbero avuto un diverso impatto. Ma Kerry preferì tenerle riservate, perché non era riuscito a ottenere su di esse l’accordo delle parti israeliane e palestinesi, del premier Netanyahu e del presidente Abbas.

Più precisamente, a quanto si sa, aveva ottenuto un assenso sia pure con riserve da parte del premier israeliano, ma non riuscì a ottenere nessuna risposta dal presidente Abbas, malgrado la promessa fatta al presidente Obama durante un loro ultimo stringente incontro. A quel punto, Kerry preferì gettare la spugna.

La situazione, dopo il suo ultimo discorso, appare per certi versi ancora peggiore: mentre la reazione palestinese, nelle parole del capo negoziatore Saeb Erekat, è quantomeno evasiva, limitandosi a elencare le loro note precondizioni per la ripresa della trattativa (blocco degli insediamenti e definizione di un tempo limite per il negoziato), da parte di Netanyahu, infuriato per la recente risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, vi è ora un rifiuto totale e sprezzante, verso colui che insieme al suo presidente viene definito senza mezzi termini come un traditore, che con l’astensione espressa in sede di votazioni “ha pugnalato Israele alle spalle”.

Il leader israeliano attende il 20 gennaio e il nuovo presidente Trump, che con i suoi tweet ha già condannato il modo in cui Israele è stato trattato all’Onu e assicurato che con lui le cose cambieranno, anche se è sembrato considerare ormai la Risoluzione votata un dato di fatto.

Ma vi è ancora un appuntamento, prima di quella meta da lui agognata, ed è la Conferenza Internazionale convocata a Parigi il 15 gennaio in base all’iniziativa francese, che vedrà presenti ministri degli Esteri dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra), insieme agli altri componenti del Quartetto sul Medio Oriente, Unione Europea e Onu, ai membri del “quartetto arabo” (Arabia Saudita, Egitto, Giordania e Emirati Arabi Uniti), più altri paesi tra cui l’Italia.

Non sono invece state invitate le parti in conflitto, Israele e Palestina, per rendere la discussione più libera.

La possibilità che ancora esiste, anche se appare di difficile realizzazione, è che la conferenza faccia propri i 6 parametri di Kerry, traducendoli in una risoluzione da far approvare dal Consiglio di Sicurezza prima del fatidico 20 gennaio, con l’inizio dell’Era Trump. Questo anche se il vice consigliere Nazionale per la Sicurezza di Obama, Ben Rhodes, ha escluso che gli Usa facciano passare prima del 20 gennaio altre risoluzioni ostili a Israele.

Ma se Francia e altri stati presentassero una proposta di risoluzione di quel tipo, sarebbe difficile per gli Usa votare contro o porre il veto contro i loro stessi principi. L’incognita è l’atteggiamento dei rappresentanti arabi, se al dunque faranno proprie le riserve palestinesi, o se daranno via libera all’iniziativa francese. E un’altra incognita è l’atteggiamento russo, dati i sempre più stretti legami tra Netanyahu e Putin, che avevano portato il leader russo, dopo una richiesta estrema del leader israeliano, a tentare all’ultimo minuto di rinviare il voto del Consiglio di Sicurezza, tentativo poi fallito.

Questi in sintesi i Parametri di Kerry:

I. Assicurare confini internazionali sicuri e riconosciuti tra Israele e una Palestina viabile e contigua, negoziati sulla base dei confini del 1967, con scambi territoriali mutuamente concordati ed equivalenti.

II. Attuare la visione della Risoluzione 181 della Assemblea generale dell’Onu, di due Stati per due popoli, (…) creando quindi uno Stato per il popolo ebraico e uno Stato per il popolo palestinese, in cui ognuno possa soddisfare le proprie aspirazioni nazionali, con mutuo riconoscimento e pieni ed eguali diritti per i loro rispettivi cittadini (riferimento ai diritti ai 1700 cittadini israeliani appartenenti alla minoranza arabo-israeliana, ndr). Questa formulazione risponde alla richiesta israeliana che Israele sia riconosciuto in quanto Stato ebraico.

III.  Assicurare una giusta, concordata e realistica soluzione al problema dei rifugiati, prevedendo una assistenza internazionale che includa compensazioni, scelta tra opzioni diverse nel trovare una loro dimora permanente, riconoscimento delle loro sofferenze, al tempo stesso riconoscendo che tali soluzioni devono essere coerenti al principio dei due stati per due popoli, e quindi non mettere in discussione il fondamentale carattere di Israele (in quanto Stato per il popolo ebraico, ndr).

IV. Assicurare una soluzione concordata per Gerusalemme come Capitale internazionalmente riconosciuta dei due Stati che protegga e assicuri libertà di accesso ai luoghi santi sulla base dello stabilito status quo. “Molti riconoscono – aggiunge Kerry – che Gerusalemme non dovrebbe essere divisa ancora come era nel 1967, e noi crediamo in questo”.

V.Assicurare i fondamentali bisogni di sicurezza di Israele mettendo definitivamente fine all’occupazione. Si deve garantire a Israele che non si crei un’altra situazione come a Gaza, e Israele deve essere in grado di difendersi efficacemente, sia contro il terrorismo che contro le altre minacce regionali. E questo in stretta collaborazione con Egitto, Giordania e altri player regionali, che hanno dimostrato la loro positiva attitudine al riguardo, assicurando stretto coordinamento per la sicurezza ai confini, condivisione dell’intelligence, cooperazione congiunta e operazioni congiunte, mettendo in atto i suggerimenti a suo tempo avanzati dal generale Allen. Allo stesso tempo, va assicurata ai palestinesi una piena e reale fine dell’occupazione militare, dopo un processo concordato di transizione. Essi devono sapere che potranno vivere in libertà e con dignità in uno Stato sovrano, assicurando sicurezza alla loro popolazione, anche senza disporre di un loro proprio esercito.

VI. Fine del conflitto e cessazione di ogni ulteriore richiesta, assicurando relazioni normali e rafforzata sicurezza regionale, come previsto dalla Iniziativa Araba di Pace, in modo che ognuno possa procedere verso una nuova era di coesistenza e cooperazione pacifiche, assicurando ad Israele pace piena anche con i suoi vicini arabi. Con la pace Israelo-palestinese, Israele, gli Usa, la Giordania, l’Egitto, insieme ai paesi del Golfo, saranno pronti e decisi a definire una nuova partnership di pace

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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