L’Editoriale

Lo stop di Trump ai nuovi insediamenti israeliani

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 4 febbraio 2017

Il brusco stop di Trump al continuo annuncio, da parte del Governo israeliano, di nuove costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania e ad est di Gerusalemme ha colto di sorpresa solo coloro che avevano abbracciato senza esitazione la versione di un Trump oramai legato mani e piedi ai più oltranzisti settori della destra israeliana e dei coloni. In realtà Trump vuol mantenere ben chiaro per sé il bastone del comando, chiarendo bene chi guida e chi deve farsi guidare.

“Il desiderio Americano di giungere alla pace tra israeliani e palestinesi è rimasto immutato per 50 anni – inizia la dichiarazione, con un chiaro riferimento alla situazione esistente al momento della Guerra dei sei Giorni, svoltasi nel ’67, e quindi ai relativi confini.

“Mentre non crediamo – continua la dichiarazione – che la esistenza degli insediamenti sia un impedimento alla pace, la costruzione di nuovi insediamenti o l’espansione degli insediamenti esistenti oltre agli attuali confini – altro riferimento ai confini del ’67 – può non essere di aiuto al raggiungimento di tale scopo”

Dopo aver ribadito il desiderio del Presidente di raggiungere la pace in Medio Oriente, si ricorda che la nuova Amministrazione non ha ancora assunto una posizione definite sulle attività connesse agli insediamenti e intende continuare la discussione, anche in vista della prossima visita di Netanyahu a Trump, prevista per il prossimo 15 febbraio.

Il New York Times, arriva a titolare forse esagerando, che “Trump abbraccia i pilastri della politica estera di Obama”. Ma già nei giorni scorsi, sul quotidiano on line Al-Monitor, veniva segnalato lo scontro in atto tra due linee della Nuova Amministrazione Usa, quella, più estremista e legata alle organizzazioni dei coloni israeliani, rappresentata dal “cerchi magico” vicino al Presidente, e quella più cauta e legata alla posizione tradizionale USA, favorevole alla soluzione del conflitto a due stati, l’uno israeliano l’altro palestinese, espressa dal Dipartimento di Stato, guidato da Rex Tillerson, e dal nuovo Segretario alla difesa, James Mattis.

È l’attitudine più cauta che sembra aver prevalso. L’opzione più probabile, è che Trump scelga di ricollegarsi alle posizioni espresse nella famosa lettera di Bush padre, il Presidente George W. Bush, inviata a Sharon nell’Aprile 2004, lettera che Obama aveva sempre rifiutato di fare propria e di considerare come posizione ufficiale degli USA. Trump avrebbe quindi buon gioco a riproporla, marcando contestualmente la discontinuità con il precedente presidente.

In quella lettera, in cui si faceva riferimento tra l’altro all’accettazione da parte israeliana della Road Map, e alla decisione di Sharon di ritirarsi unilateralmente da Gaza, si affermava: “Alla luce delle nuove realtà sul terreno, inclusi i già esistenti maggiori centri a popolazione ebraica (riferimento ai grandi blocchi ad est della linea verde, ndr), è irrealistico aspettarsi che il risultato dei negoziati sul Final Status sarà un pieno e completo ritorno alle linee del 1949, e tutti i precedenti sforzi per negoziare una soluzione a due stati sono giunti a questa stessa conclusione. E’ realistico aspettarsi che ogni accordo sul Final Status potrà essere raggiunto solo sulle basi di scambi (territoriali, ndr) mutuamente concordati, che riflettano tali realtà”.

Si comprendono meglio, ora le prese di posizione del Ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, che sta cercando d’altronde di riposizionarsi al centro anche alla luce dell’indagine criminale cui è sottoposto il Premier Netanyahu, accreditandosi come suo possibile successore anche sul piano internazionale: posizioni che attaccavano come sconsiderate le proposte avanzate dall’estrema destra del Governo israeliano, guidate da Naftali Bennet, per legittimare i cosiddetti avamposti illegali, e invitavano a concentrarsi sui “grandi blocchi”. E’ assai probabile che quelle dichiarazioni fossero espresse sulla base di contatti stabiliti con lo staff presidenziale di Trump, già eletto ma non ancora insediato.

Si comprende altresì l’inedita posizione assunta da Lieberman e Netanyahu sul Piano Arabo di Pace del 2002, approvato dalla Lega Araba su proposta dei Sauditi, ed ora rilanciato dal Presidente egiziano Al-Sisi, di concerto con sauditi e giordani: i due esponenti israeliani hanno dichiarato di considerarlo un importante punto di riferimento per la ripresa dei negoziati di pace: un modo per riconnettersi a quel prioritario asse sunnita da costruire in funzione anti iraniana, cui punta così fortemente anche il Presidente Trump.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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