L’Editoriale

Nuovi scenari in Medio Oriente

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:14 novembre 2013

Lo scenario mediorientale sta subendo delle brusche modificazioni con nuovi protagonisti che si affermano e alleanze che apparivano consolidate che si sbriciolano. La situazione è caratterizzata dal ritorno in forze nell’area di due protagonisti storici, l’Iran di Rouhani, che ha aperto un canale diretto di dialogo con gli USA e pare proiettato verso una possibile uscita dal decennale isolamento in cui era stato costretto, e la Russia di Putin, che ha giocato la carta dei suoi rapporti storici con il Regime di Assad per evitare l’attacco militare USA contro quel regime, che peraltro lo stesso Presidente Obama non voleva, ed imporre una soluzione negoziata e concordata per la distruzione delle armi chimiche presenti in Siria.

Oltre ai tradizionali rapporti con Damasco, la Russia intende estendere i suoi legami con Egitto, Iran e Iraq e a marcare la sua presenza in tutta l’area. Russia e Iran sono i due fattori la cui presenza nella Regione sta conoscendo un salto di qualità, determinando un nuovo assetto dei rapporti nell’area.

Per converso, gli Stati Uniti, tradizionali alleati della Turchia, appaiono fortemente ripiegati su se stessi e sui propri problemi interni, anche se hanno riconfermato che per loro resta prioritaria la soluzione del conflitto israelo-palestinese, e si trovano in una fase di ripensamento complessivo del proprio sistema di alleanze nella regione, di cui è testimonianza la stessa revisione in atto degli aiuti militari all’Egitto, che potrebbe estendersi anche alla stessa Turchia.

D’altro lato, la spinta che si era registrata nei paesi arabi del Nord Africa, dopo la Primavera araba, si è inceppata con la concreta esperienza di tali governi, che non hanno dimostrato sufficienti doti di inclusività, pluralismo e nel contempo di realismo economico. Ciò ha provocato il diffuso malcontento della popolazione, e in Egitto, ha portato al colpo di Stato, con il ritorno al potere dei militari e la messa fuori legge della Fratellanza musulmana.

Per quanto riguarda la Siria, la Turchia e le monarchie arabe del Golfo avevano puntato su una rapida caduta di Assad, che non si è verificata, grazie al sostegno degli alleati della mezzaluna sciita (Iran e Hezbollah) e della Russia. L’opposizione siriana appare oggi profondamente fratturata e incapace di proporsi come alternativa, ed anche pericolosamente condizionata dalle formazioni jiadiste e qaediste. Questo schieramento è perciò rimasto preso in contropiede dall’iniziativa russo-americana, volta alla distruzione delle armi chimiche e al rilancio del negoziato tra le parti.

In questa situazione, l’arco sunnita, che dopo la Primavera araba pareva trionfante in tutta la Regione, registra un colpo di arresto, che testimonia dei limiti della sua capacità di presa politica e di iniziativa strategica, e risente duramente del pantano siriano in cui hanno frettolosamente deciso di cacciarsi. Una situazione di stallo che accentua la polarizzazione fra sunniti e sciiti e aggrava lo scontro all’interno del Mondo Islamico, contribuendo così a rendere ancora più precario e preoccupante lo scenario di sicurezza nel bacino mediterraneo e nel Medio Oriente.

La decisione saudita di non accettare il seggio di membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che le era stato assegnato testimonia la sfiducia e la disaffezione con cui quel paese guarda alla evoluzione in atto nell’area.

Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, il processo diplomatico è stato riaperto dopo anni di congelamento, e dovrebbe estendersi fino alla metà del 2014. Che sia stata superata l’incomunicabilità tra le parti è positivo, ma l’esito del negoziato appare assolutamente incerto.

Fatah e l’ANP beneficiano di un certo miglioramento della situazione economica in Cisgiordania ed anche dell’indebolimento di Hamas, in rotta con i militari al potere in Egitto e in crisi anche rispetto all’Iran e agli Hezbollah libanesi, per il sostegno dato agli insorti siriani. Ma la situazione resta precaria e quanto mai incerta.

Quanto ad Israele, si trova a fare i conti con l’apertura, per quanto condizionata, degli USA verso l’Iran, e le stesse ipotesi di possibili sviluppi del negoziato con i palestinesi creano continue fibrillazioni nella maggioranza di governo, con minacciosi segnali che giungono dalle componenti di destra all’esterno e all’interno del Likud. Il Premier Netanyahu si trova quindi a prendere decisioni difficili, sia nel nuovo contesto regionale, sia verso i palestinesi, sia per le complesse relazioni con l’alleato USA e con la stessa Europa, che sta aumentando la pressione sulla questione degli insediamenti.

In un contesto di così grande movimento, anche per la Turchia si pone oggettivamente il problema di riparametrare la sua presenza e le sue coordinate internazionali, se vuole evitare di giocare solo di rimessa, appannando la capacità di iniziativa di cui aveva dato prova negli anni passati.

La questione, in sostanza, è se la Turchia intende essere uno dei pilastri su cui verrà costruito il nuovo sistema di relazioni internazionali nell’area, un sistema multipolare e non omogeneo, destinato a trovare costantemente un equilibrio dinamico tra i diversi interessi e le diverse tensioni possibili; o se invece preferirà porsi come polo di riferimento e di protezione di coloro che se ne sentono esclusi.

In questa realtà in così veloce evoluzione, il ruolo dell’Europa risulta accresciuto, anche per recuperare in qualche modo i vuoti determinati dall’evoluzione in atto della presenza USA, e per contribuire a stabilizzare una situazione soggetta a tensioni crescenti. Per il nostro paese in particolare, così esposto alle conseguenze politiche, sociali e di sicurezza delle tensioni lungo la sponda sud del Mediterraneo, monitorare gli sviluppi in atto e assicurare per quanto possibile una presenza costruttiva è sicuramente cruciale.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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