L’Editoriale

Iran, la photo opportunity di Ginevra che potrebbe sancire il cambiamento

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 26 novembre 2013

La photo opportunity giuntaci da Ginevra, che vede al centro il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, attorniato dai Ministri degli Esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, guidati dal Segretario di Stato USA John Kerry, più quello tedesco e la Catherine Ashton, Alto rappresentante per gli affari esteri della UE, rappresenta plasticamente il cambiamento sancito dall’accordo sul nucleare raggiunto a Ginevra. L’Iran non è più un paria tra le nazioni, siede alla pari con le grandi potenze del mondo, riesce a farsi ascoltare ed è rispettato.

Si tratta certo di un accordo limitato nel tempo, che entro sei mesi dovrà portare ad un accordo definitivo. Esso sancisce l’impegno dell’Iran di ridurre tutto l’uranio già arricchito al 20%, a ossido combustibile per il suo impianto nucleare di ricerca, o a diluirlo fino al 5%.

L’Iran si impegna altresì a non arricchire per tutto questo periodo uranio oltre il 5% e a bloccare i lavori ai tre impianti di Natanz, di Fordo e in particolare al reattore ad acqua pesante di Arak, che potrebbe produrre plutonio.

Infine, esso si impegna a permettere ispezioni anche quotidiane ai diversi impianti atomici e alle stesse miniere di uranio.

In compenso, la comunità internazionale si impegna a sbloccare fondi iraniani congelati dalle sanzioni e ad attenuare divieti alle esportazioni in alcuni settori, per un totale tra 6 e 7 miliardi di dollari, su un totale di circa 30 imposti dalle sanzioni in essere.

Si prevede che anche l’accordo definitivo preveda “un programma di arricchimento dell’uranio mutuamente concordato, con parametri definiti”, il che di fatto accetta la rivendicazione iraniana a conservare il diritto ad arricchire l’uranio, nell’ambito di programmi pacifici e controllati, come d’altronde è previsto dal Trattato di non proliferazione nucleare (NPT).

Come osserva il New York Times, l’accordo siglato non è di enorme portata e non risolve il problema nucleare iraniano, né probabilmente si proponeva di farlo. Allunga di qualche mese il periodo di tempo entro il quale l’Iran potrebbe produrre un’arma atomica. Quello che oramai è irreversibile, è il know how acquisito in tutti questi anni, e che non si può comunque cancellare.

L’Iran si appresta a divenire una delle potenze nucleari in potenza, come lo è il Giappone, che non posseggono le armi nucleari, ma hanno la capacità di costruirle, se vogliono.

Gli Stati Uniti e personalmente Obama si sono impegnati allo spasimo, per arrivare all’accordo ed evitare una escalation armata. Kerry vi ha impiegato la stessa tenace ostinazione dimostrata per sbloccare il negoziato tra israeliani e palestinesi. Gli USA non hanno esitato ad attivare un canale segreto di trattative, che ha avuto l’avallo della Guida Suprema Khamenei. Degli incontri sono stati tenuti all’oscuro almeno fino all’estate non solo Israele ma anche l’Europa e gli altri partner del gruppo 5+1. Il primo incontro risale all’inizio di quest’anno, addirittura prima dell’elezione del nuovo Presidente iraniano Rohani, mentre gli altri quattro sono stati successivi alle elezioni, e hanno consentito di arrivare alla storica telefonata tra Obama e Rohani, e di definire le linee essenziali dell’accordo firmato in questi giorni a Ginevra.

Ovviamente, l’esito della trattativa non è piaciuto né a Israele né alla Arabia Saudita e alle altre monarchie del Golfo, che vedono in Teheran un nemico mortale.

I sauditi hanno taciuto, lasciando intendere che si riservano di approvvigionarsi di armi atomiche dai pakistani, di cui hanno abbondantemente finanziato il programma nucleare. Quanto a Israele, i giudizi che vengono dati sono durissimi: si è trattato, secondo Netanyahu di “un errore storico”, che va tutto a vantaggio di Teheran.

Dopo una telefonata di Obama, tuttavia i toni si sono un po’ ammorbiditi, ed il Premier israeliano ha dichiarato che si tratta di un cattivo accordo, ma che senza la pressione di Israele (e della Francia) avrebbe potuto essere ancora peggiore. Si fa riferimento alla eliminazione dello stock di uranio al 20%, e al blocco dell’impianto di Arak, che nella prima versione degli accordi non erano contemplati, mentre ora vengono chiaramente definiti.

Netanyahu ha altresì annunciato l’invio di un team di esperti negli USA, per lavorare sulla stesura dell’accordo finale che dovrà essere pronto entro sei mesi. Questa scadenza viene valutata la tappa strategicamente essenziale: ciò ha quindi consigliato ad Israele di non chiamarsi fuori dalla partita, scegliendo invece di giocare la parte del poliziotto cattivo accanto al poliziotto buono Obama.

Resta da vedere, ora, come la svolta con l’Iran potrà influenzare il ristagnante negoziato israelo-palestinese, dato che ora Netanyahu sarà probabilmente meno disposto ad accettare nuove concessioni. L’annuncio della costruzione di altri 800 appartamenti in Cisgiordania ne sono un segnale lampante.

Quanto all’Iran, il suo status di potenza regionale esce indubbiamente accresciuto da questa prima tappa negoziale, e il suo ruolo sarà certo ineludibile nei principali teatri di crisi, dalla Siria, al Libano, all’Irak, allo stesso Afghanistan. Ma forse gli USA preferiscono diversificare gli interlocutori, senza concedere più una contraddittoria esclusiva all’alleato saudita e al frazionato blocco sunnita.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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