L’Editoriale

Medio Oriente. Provaci ancora Obama

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 8 febbraio 2013

L’annuncio di Obama, che il prossimo 20 marzo sarà in Israele, per incontrare in seguito il Presidente della Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas e il Re di Giordania, Abdullah II, ha colto di sorpresa tutti gli osservatori. Le previsioni generali erano che, dopo gli insuccessi del suo primo mandato presidenziale, si sarebbe tenuto alla larga da quel focolaio di crisi, lasciando quegli irriducibili di israeliani e palestinesi a sbrogliarsela da soli. Certo, non sarebbero mancate le solite dichiarazioni di principio a favore di una soluzione “Due popoli Due Stati”, le condanne sempre più fioche all’annuncio di nuovi insediamenti in Cisgiordania, i veti quando al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si cercasse di arrivare a risoluzioni di condanna per Israele. Ma il tutto a partire da un atteggiamento di “benigna negligenza”, per esprimersi con il New York Times, lontano dall’assillo inconcludente degli anni passati.

Altre erano oramai le priorità USA, l’Iran, l’Estremo Oriente, i problemi dell’economia e dell’occupazione. Il resto erano solo chiacchiere pronunciate per soddisfare agli obblighi del ruolo.

Sta avvenendo tutto il contrario. Già il nuovo Segretario di Stato, John Kerry, profondo conoscitore della realtà mediorientale, appena eletto aveva fatto dichiarazioni impegnative, affermando che tra le essenziali priorità politiche e strategiche USA vi era la soluzione del conflitto israelo-palestinese.

Poi vi è stato l’annuncio del viaggio del Presidente.

Può certo aver influito l’esito delle elezioni israeliane, tradottesi in un risultato che non ha premiato l’estrema destra interna e esterna al Likud, rafforzando soprattutto il centro e anche la sinistra. Netanyahu, pur avendo ottenuto l’affidamento dell’incarico, si presenta più debole al negoziato per la formazione del governo. E deve fare i conti con una fronda interna che ha rialzato la testa, capeggiata dal passato Vice Primo Ministro uscente, Dan Meridor, che egli aveva emarginato nella composizione delle nuove liste elettorali. Meridor afferma che la politica degli insediamenti, rilanciata durante le elezioni dallo stesso Netanyahu, è contraddittoria con la posizione israeliana a favore di una soluzione a due stati e danneggia l’immagine di Israele all’estero, e di fatto porta alla costituzione di uno Stato unico binazionale dal “Giordano al Mare”. Dichiarazioni che certo non a caso riecheggiano l’intervista ufficiosa di Obama a Bloomberg, in cui egli sosteneva che Israele non sapeva quali erano i suoi interessi e stava andando verso il più completo isolamento internazionale.

L’annuncio del viaggio del Presidente USA avviene non a caso mentre sono ancora in corsa i negoziati per la formazione del nuovo governo, e forse potrà influenzarli: Netanyahu si trova impegnato in un delicato gioco di bilancia tra Yair Lapid, il leader di Yesh Adit (“C’è un futuro”) classificatosi secondo ma vincitore morale delle elezioni, e Tzipi Livni, già leader di Kadima, con la sua nuova formazione, Hatenua. Con la Livni sarebbe possibile formare una maggioranza di 69 seggi, senza Lapid, e la trattativa con lei viene utilizzata da Bibi per cercare di contenere le dure richieste di Yesh Adit. Alla Livni sarebbe stato offerto in questi ultimi giorni il posto di Ministro degli Esteri facente funzione (in attesa che si risolvano i guai giudiziari di Avigdor Lieberman), ma a lei sarebbe affidata la delega del negoziato con i palestinesi, come ella aveva espressamente richiesto. Questo favorirebbe l’iniziativa USA, che nella Livni vede sicuramente una interlocutrice sicuramente più affidabile.

Per Obama, questo sarà il suo primo viaggio in Israele come Presidente (vi era già stato anni fa, come candidato); la sua mancata visita gli era stata rimproverata dai suoi avversari e dagli stessi ambienti ebraici americani, rapportata ai suoi viaggi in Egitto e in Turchia. Il suo primo scopo sarà quindi quello di rassicurare i suoi critici, e di parlare all’opinione pubblica israeliana e ebraica. Si afferma che egli non porterà con sé un nuovo piano di pace, ma vorrà innanzi tutto ascoltare i suoi interlocutori, Netanyahu, Shimon Peres, Mahmoud Abbas, Re Abdullah di Giordania. Un approccio soft, lontano dalle fanfare decisioniste e senza risultato del suo discorso al Cairo, all’inizio del suo primo mandato. Ma il viaggio segna un rinnovato impegno diretto del Presidente in quest’area, che non vorrà fallire ancora. Dopo aver ascoltato, Obama dovrà pure dire la sua, magari al suo ritorno, o chissà nello stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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