L’Editoriale
Napolitano, quel viaggio in Israele fu la svolta
di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
Data pubblicazione: 11 maggio 2006
Una pagina poco conosciuta di Giorgio Napolitano riguarda il ruolo da lui svolto per ricostruire, a metà degli anni ’80, un rapporto positivo con il mondo ebraico ed Israele, dopo le lacerazioni del 1967.
Già da alcuni anni, a Milano, avevamo avviato una riflessione ed anche una iniziativa su questi temi, quando mi giunse la richiesta, alla fine del 1986, di partecipare ad una missione in Medio Oriente del responsabile esteri del Pci, e di contribuire a organizzarla.
Il lavoro di preparazione fu minuzioso. Compii una ricerca sui principali articoli pubblicati sulla stampa del partito sul controverso argomento, ed in cui comparivano posizioni discutibili e contraddizioni rispetto alla questione di Israele, rispetto al conflitto, e anche rispetto al sionismo.
Contraddizioni o, come lui ebbe modo di definirle, «aporie».
Si teneva fermo il concetto del diritto all’esistenza dello stato ebraico, ma l’approccio era pesantemente influenzato dalla posizione assunta dall’Urss durante la Guerra dei sei giorni: Israele veniva quindi identificato come l’aggressore, alleato agli Usa e al campo imperialista; i palestinesi come le vittime, parte integrante del campo antimperialista. Sono d’altronde note le illusioni nutrite da Giancarlo Pajetta sul “socialismo arabo”.
Anche sul sionismo, pur se il Pci aveva criticato, in quanto ideologica, la risoluzione dell’Assemblea dell’Onu del 1975, che lo definiva una «forma di razzismo e di discriminazione razziale», veniva mantenuto fermo il giudizio critico sul movimento. L’Unità, in articoli semiufficiali, lo definiva «un’ideologia conservatrice e reazionaria… utilizzata dall’imperialismo e tale da generare spinte aggressive, espansionistiche e discriminatorie da parte… di Israele». La campagna contro il sionismo era in realtà diretta a togliere legittimità storica alla fondazione di Israele. Napolitano doveva perciò confrontarsi con una eredità non facile, e lo fece con la dignità e la misura che lo contraddistingue.
Era infatti stato invitato a tenere una Conferenza all’Istituto Truman dell’Università ebraica di Gerusalemme, ed il suo intervento rappresentò una svolta concettuale di grande importanza, anche perché fu poi ripubblicato da Rinascita, il settimanale teorico del partito. Pur nella riconferma dei diritti del popolo palestinese all’indipendenza e a uno stato, erano nette la riaffermazione del diritto all’esistenza di Israele, la condanna del terrorismo in ogni sua forma, la sottolineatura del ruolo essenziale che potevano giocare la sinistra israeliana per costruire la pace.
Tematiche, queste, poi svolte più ampiamente in occasione dell’ormai storico convegno “Sinistra e questione ebraica”, organizzato dalla Casa della cultura di Milano, a cui Napolitano partecipò, insieme a Rosellina Balbi e al grande studioso israeliano Shlomo Avneri. Così come prese parte anche alla Conferenza internazionale che il Cipmo organizzò nel novembre 1989, e che vide riuniti insieme, per la prima volta, circa settanta rappresentanti ufficiali israeliani e dell’Olp, mentre la legge in Israele lo proibiva ancora. Ma forse ancora più importanti della sua lezione all’università furono gli incontri che avemmo, e di cui Sandra Bonsanti, che era al nostro seguito, diede ampia notizia su La Repubblica.
La scelta fu infatti quella di andare oltre i tradizionali incontri con i locali partiti comunisti, stringendo i contatti con tutte le diverse anime delle forze progressiste e di pace.
In Palestina, quindi, si incontrarono gli esponenti dell’interno, da Hanna Siniora a Fayez Abu Rahme; in Israele, oltre agli amici del Mapam, i Laburisti, la Lista per la pace. Di particolare interesse gli incontri con Shimon Peres e quello con Yossi Beilin, che aprirono nuove prospettive al dialogo.
Questa nostra scelta non fu indolore. I dirigenti del Rakah, il Pci israeliano, che incontrammo per ultimi ad Haifa, non gradirono affatto la nostra apertura.
Quello che soprattutto li irritò fu la nostra scelta di vedere Uri Avnery, il famoso pacifista, e il generale Matti Peled, che con la Lista per la pace si rivolgevano al loro stesso elettorato arabo israeliano ed erano perciò dai comunisti etichettati come agenti della Cia.
Napolitano durante l’incontro mi inviò un biglietto: «Mi pare che siano privi di nuance. Penso che non ci inviteranno neanche a mangiare con loro, e forse non è un male».
Articolo pubblicato sul quotidiano Europa, www.europaquotidiano.it
NOTE SULL'AUTORE
Janiki Cingoli
Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.
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