L’Editoriale 

Quella vignetta offende gli ebrei. E la sinistra

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 18 maggio 2006

Ho dedicato 25 anni al sostegno di una giusta pace in Medio Oriente, basata sulla creazione di uno stato palestinese indipendente che viva al fianco e non al posto di Israele, cui devono essere garantiti pace e sicurezza. Non credo quindi di poter esser sospettato di antipalestinismo.
Devo tuttavia dire che mi prende un senso di sconforto e angoscia quando vedo riemergere vecchi luoghi comuni e grossolane semplifi- cazioni, quali quelle della vignetta pubblicata su Liberazione, che accosta i campi di sterminio nazisti al muro di difesa israeliano (muro su cui peraltro ho già avuto occasione di esprimere il mio dissenso). Ma sono stati inadeguati anche alcuni dei commenti successivi, incluso quello del presidente Fausto Bertinotti, pur espresso con le migliori intenzioni. Il problema non è l’offesa alla sensibilità di una minoranza religiosa, da cui ci si deve astenere per rispetto e discrezione.
Né quello del diritto alla satira, cui si richiama Sansonetti, come se in discussione fossero la libertà di espressione o rinnovate volontà censorie.
Il problema è il contenuto della vignetta, in sé inaccettabile e distorsivo. Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto nazionale e territoriale, non è un conflitto razziale. Tra l’altro, ebrei e arabi appartengono allo stesso ceppo linguistico semitico.
Se i palestinesi se ne stessero buoni, e non rivendicassero il loro irrinunciabile diritto alla determinazione nazionale, gli israeliani non avrebbero niente contro di loro. Al contrario i nazisti perseguitavano gli ebrei perché erano ebrei, non per quanto facevano o dicevano. Un ebreo nazista entrava comunque nelle camere a gas. Anche l’orrore è incomparabile. Non mi risulta che siano state accumulate pile di denti, di occhiali, di scarpe palestinesi tratti dai cadaveri spogliati prima di metterli in forni crematori.
D’altronde, gli ebrei non sono solo una minoranza religiosa. Larga parte, e forse la maggioranza degli ebrei non sono religiosi.
La religione è certo una componente essenziale dell’identità ebraica, come lo è la componente nazionale, il retaggio storico e familiare, la memoria delle radici comuni.
Le organizzazioni dell’ebraismo italiano, come l’Unione delle comunità ebraiche, presieduta da Claudio Morpurgo, non sono organismi religiosi, ma civili, anche se svolgono al loro interno specifiche attività religiose.
Gli ebrei italiani non sono stranieri in patria, e non sono una conventicola religiosa, sono cittadini italiani, portatori di una loro specifica identità complessa. E come parte della società hanno diritto di prendere posizione (o per meglio dire posizioni, dato che anche al loro interno ci sono differenze e divisioni) su ogni aspetto della vita civile, inclusi gli articoli del professor Asor Rosa, che non deve sentire quelle critiche come una pressione indebita, cui è una concessione rispondere.
Anche qui, non si mette in questione il diritto di criticare atti o decisioni o politiche complessive dei governi israeliani, come anche a me spesso è capitato. Quello che è inaccettabile, non solo per gli ebrei ma credo per la parte preponderante della sinistra italiana e dell’opinione pubblica, è negare le ragioni e la legittimità storica della nascita di Israele, considerato come un male originario con cui è ormai necessario fare i conti accettandone la sopravvivenza, malgrado la sua tabe originaria.
Asor Rosa sostiene che «non si può…reagire alla violenza con la violenza e pretendere che alla ingiustizia della fondazione dello stato di Israele faccia seguito l’ingiustizia della sua eventuale distruzione e cancellazione oggi». Su questa base, non si può costruire nessuna pace stabile tra israeliani e palestinesi, ma solo una pace fragile e precaria.
Non c’è pace vera tra una ragione e un torto. Questa si può raggiungere solo tra due ragioni che si riconoscano vicendevolmente, riconoscendo contemporaneamente di essere ragioni non assolute ma parziali, che debbono raggiungere un compromesso con la ragione dell’altro.

Articolo pubblicato su Europa il 18 maggio 2006

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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