L’Editoriale 

Medio Oriente. Il crinale della pace

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 9 novembre 2005

Il 1° Dicembre 2005 ricorrerà il secondo anniversario della firma della Dichiarazione di Ginevra, mentre il Medio Oriente sta attraversando una fase di particolare delicatezza, dopo il completamento del ritiro israeliano da Gaza e alla vigilia delle elezioni del Consiglio Legislativo Palestinese di gennaio.
Il ritiro israeliano da Gaza e da quattro insediamenti della Cisgiordania è stato sicuramente un fatto di grande rilevanza. Anche perché esso ha spezzato definitivamente il sogno della Grande Israele, caro alla destra israeliana.
Inoltre, il fatto che quegli insediamenti siano stati evacuati su iniziativa del Likud (o almeno della maggioranza di quel partito), ha creato un precedente importante, anche per il futuro, riaffermando che gli insediamenti non sono intangibili.
Tuttavia, sarebbe fuori luogo una valutazione trionfalistica, come se tutti i problemi fossero risolti o in via di risoluzione.
La questione di fondo è se questa situazione nuova, che è stata creata dal ritiro, verrà utilizzata come importante misura per ristabilire la fiducia, in una ottica di rilancio del negoziato, e della stessa Road Map, o in una ottica solo militare, di ripiegamento tattico per ristabilire una linea di difesa più solida.
La persistenza di un approccio unilaterale determinerebbe d’altronde gravi conseguenze per la stessa stabilità della Autorità Nazionale Palestinese, favorendo, in particolare a Gaza, il rafforzamento di Hamas e delle correnti fondamentalistiche.
La ANP, dal canto suo, è impegnata in una transizione complessa, in vista delle elezioni, che vede da un lato il confronto tra vecchia e nuova guardia del Fatah (con Abu Mazen alleato alla nuova generazione), dall’altro l’impegno di Abu Mazen per consolidare la tregua con Israele e la partecipazione di Hamas alle elezioni in modo da favorirne la progressiva istituzionalizzazione, dall’altro ancora il confronto tra Al Fatah e Hamas per affermare la rispettiva egemonia sul movimento palestinese stesso.
Una situazione complessa, in cui non mancano i tentativi di influenzare la situazione da parte di potenze esterne, quali la Siria e l’Iran (le cui recenti minacce contro Israele hanno suscitato una così corale reazione in tutto lo schieramento politico e nella opinione pubblica del nostro paese), o per altro verso, in senso positivo, l’Egitto e la Giordania.

La realtà è che nel conflitto israelo-palestinese, dopo il ritiro, si aprono tre alternative:
– Un sostanziale surplace, che potrebbe sfociare in un rafforzamento dello status quo e della stessa occupazione in Cisgiordania. Gli israeliani potrebbero continuare a richiedere ai palestinesi di mantenere i loro impegni di smantellare le strutture del terrorismo, e in attesa restare fermi, dichiarando di essere pronti a tornare alla Road Map, ma che purtroppo non ce ne sono le condizioni.
– Lo sviluppo di ulteriori iniziative di ritiro unilaterale in Cisgiordania, a completamento del piano di ridispiegamento annunciato da Sharon nel dicembre 2003, con l’evacuazione di ulteriori insediamenti isolati, ed il consolidamento di quelli a ridosso della Linea Verde, e la stessa possibilità, anticipata già da alcuni consiglieri del Premier israeliano, di arrivare ad una definizione unilaterale dei confini israeliani in Cisgiordania.
– Il rilancio di un sostanziale processo negoziale, che, attraverso la rivitalizzazione della Road Map, o di una sua versione abbreviata, porti al confronto definitivo sui diversi aspetti del Final Status.
La prima linea, ovviamente, è la più tentante per il Governo israeliano, ed ha altresì il vantaggio di non comportare ulteriori costi e lacerazioni con l’opinione pubblica e con la destra del Likud, nella prospettiva delle elezioni del prossimo anno, sia che si tengano in autunno sia che vengano anticipate a primavera.
La seconda è sicuramente più rischiosa, e può comportare prezzi elevati. Tuttavia, proprio il successo del ritiro da Gaza, ha dimostrato che la strada del ritiro unilaterale è percorribile.
Ma il pericolo di queste due opzioni è quello di una eternizzazione del conflitto, e di una chiusura dello Stato israeliano entro confini non definiti e riconosciuti internazionalmente.
La terza opzione, quella del raggiungimento di negoziati bilaterali, è la più difficile, ma è l’unica che possa offrire una pace stabile e definitiva ad entrambi i popoli, in modo che possano vivere liberi in due Stati l’uno al fianco dell’altro, e non l’uno al posto dell’altro.
È improbabile che la terza opzione venga percorsa nel prossimo anno. A gennaio saranno i palestinesi a rinnovare il loro Consiglio Legislativo, poi voteranno gli Israeliani, in primavera o in autunno. Si tratta di un corridoio temporale in cui le parti saranno più indotte a rassicurare il proprio elettorato, tentando di recuperare anche gli scontenti e gli incerti, piuttosto che a fare nuove concessioni e nuove aperture all’avversario.
È in effetti, bisogna dirlo, un corridoio temporale pericoloso, lungo il quale rischiano di disperdersi i benefici provocati dall’avvenuto ritiro da Gaza, e in cui le componenti fondamentalistiche, profondamente radicate nelle due parti, possono riprendere forza.
È necessario quindi che non si aspetti la fine di questo lungo periodo per ricominciare a lavorare sulle questioni connesse al Final Status, ma che si trovino modalità anche informali per continuare e approfondire il confronto, in maniera ravvicinata, coinvolgendo in questo lavoro anche protagonisti non tradizionalmente legati allo sviluppo del processo di pace, personalità appartenenti al mainstream dello spettro politico israeliano e all’ala più militante del movimento nazionale palestinese. Va assolutamente evitato che si rinnovi l’esperienza catastrofica del 2000, quando si arrivò ai negoziati di Camp David nella più sostanziale improvvisazione e impreparazione.
La piattaforma di Ginevra offre, a questo riguardo, un punto di riferimento essenziale, assicurando soluzioni realistiche ed articolate.
Rilanciare le iniziative del Comitato Italiano di appoggio alla Iniziativa di Ginevra appare perciò assolutamente prioritario e urgente, superando ritardi e lentezze che pure negli ultimi mesi si sono dovuti registrare.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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