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L’Analisi

Haftar (e Macron) avanzano in Libia. Quali opzioni per l’Italia?

di Michela Mercuri

Data pubblicazione: 26 febbraio 2019

Sono giorni nevralgici per il futuro della Libia. Dopo la conferenza di Palermo del 12 e 13 novembre scorso, che aveva posto delle basi, seppur labili, per un dialogo tra alcuni dei principali attori locali, gli equilibri sembrano cambiare di nuovo e in maniera decisamente sfavorevole per l’Italia. Cosa sta accadendo e quali sono concretamente i rischi per il nostro Paese?

Iniziamo dai fatti. Dall’inizio di gennaio l’Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal generale Khalifa Haftar, è riuscito, a detta di molti, a controllare la maggior parte del Sud, senza la minima resistenza da parte delle principali tribù locali. Dopo avere conquistato il campo petrolifero di El Sharara, il più grande giacimento del Sud-Ovest, le forze del federmaresciallo hanno messo sul loro “libro paga” anche le milizie che controllano il sito di El Feel, gestito da una joint venture tra la National oil corporation libica (Noc) e l’Eni. Haftar sembra aver compiuto ciò che nessuno, dalla caduta di Gheddafi, è riuscito a fare: unificare militarmente un vasto ed eterogeneo territorio, dalla Cirenaica all’impervio deserto libico, arrivando a poche centinaia di chilometri dalla capitale. Brandendo l’arma della lotta contro gli estremisti accampati nel Fezzan, ha ottenuto il placet di una buona fetta della comunità internazionale. Un copione già visto tra il giugno e il luglio del 2018, quando si era aperta la guerra per i terminal di Sidra, Ras Lanuf e Brega: anche in questo caso, con il pretesto della lotta ai gruppi estremisti, si era assicurato quei giacimenti. In altre parole Haftar dichiara di combattere per la sicurezza del Paese e contro l’estremismo ma lo fa solo nelle zone ricche di petrolio.

Pensare che l’uomo forte della Cirenaica sia solo in questa impresa è quantomeno ingenuo. Il generale gode del favore di molti attori regionali e internazionali tra cui  gli Emirati che lo finanziano ormai da anni e i francesi, i cui interessi a marginalizzare l’Italia in Libia sono oramai assodati. Vista da questa prospettiva la sua avanzata potrebbe essere l’ennesimo “sgambetto d’oltralpe” nei confronti di Roma. D’altra parte negli ultimi tempi gli attriti con l’Eliseo sono stati numerosi.  Tra il braccio di ferro sulla questione dei migranti, lo stop all’acquisizione da parte di Fincantieri dei Chantiers de l’Atlantique e il richiamo dell’ambasciatore francese in Italia, Macron non perde occasione per mettere in difficoltà il governo Cinque stelle -Lega.

La Libia, croce e delizia dei francesi fin dalla guerra del 2011, voluta per far fuori il nostro maggiore alleato, è una delle pedine più utili per colpire le strategie di Roma. Quasi in concomitanza con l’offensiva dell’esercito di Haftar, infatti, i Mirage dell’aviazione di Parigi hanno colpito incessantemente l’area fra la Libia e il Ciad, per supportare il generale libico nella sua avanzata per il controllo del Paese, senza alcun coordinamento con l’Italia e, più in generale, con la Comunità internazionale. Ma c’è di più. L’8 novembre scorso, a soli tre giorni dal vertice siciliano, il ministro degli esteri francese Le Drian ha incontrato esponenti di spicco della città di Misurata – oramai una sorta di terzo potere nel Paese – per discutere delle prospettive di stabilizzazione della Libia. Pochi giorni fa, secondo alcune indiscrezioni, il consigliere libico di Macron e alcuni funzionari dei servizi segreti della Dgse avrebbero effettuato una missione a Tripoli per supportare Serraj nell’arduo compito di ridurre il potere delle milizie locali. Più che sostenere Haftar, dunque, Parigi sembra intenzionata a riproporre il suo ruolo di “pacificatore” del Paese: bypassando inutili summit, che si risolvono in mere photo opportunity, stavolta Macron ha deciso di agire sul terreno.

Cosa resta da fare per l’Italia? Detta in altri termini, abbiamo perso la Libia? Se collaborare con i francesi sul piano diplomatico appare al momento piuttosto difficoltoso ci sono, però, altri attori con cui è possibile dialogare. Gli Stati Uniti si sono detti preoccupati per le continue tensioni nel Sud della Libia e hanno ribadito la necessità di continuare a far pressione contro i gruppi terroristici, in coordinamento con il Governo di accordo nazionale. D’altra parte Trump, dopo la rottura con Macron, si è dimostrato favorevole a un rinnovato impegno italiano nel teatro di crisi del Paese nordafricano. Anche il presidente russo Vladimir Putin è fin qui parso piuttosto in linea con l’attuale governo italiano. C’è poi l’Egitto. Il presidente al-Sisi, che non si recava più in Italia da quattro anni a causa delle tensioni sull’omicidio di Giulio Regeni, durante il vertice di Palermo è sembrato alquanto collaborativo e negli ultimi tempi la spola tra Roma e Il Cairo è ripresa in maniera costante. L’Italia potrebbe recuperare l’asse con Russia ed Egitto e puntare anche sugli Stati Uniti che, seppure “disimpegnati” dal teatro libico, sono ancora l’unica potenza in grado di mediare tra gli interessi divergenti degli attori europei e di alcuni player regionali. Inoltre, abbiamo da poco riaperto la nostra ambasciata a Tripoli, l’unico “punto di contatto occidentale” nel Paese, e questo potrebbe essere utile per favorire un maggior dialogo con gli attori locali, Haftar in primis.

Va poi ricordato che al di là delle “scaramucce politiche”, le questioni economiche proseguono indisturbate. Lo scorso ottobre il presidente della Noc ha firmato una lettera d’intenti con gli amministratori delegati di British petroleum (Bp) ed Eni per avviare il processo di assegnazione a Eni di una quota del 42,5% nell’Exploration and production sharing agreement (Epsa) di Bp in Libia, con l’obiettivo di rilanciare le attività di prospezione per la ricerca di petrolio. Eni e Total hanno recentemente definito degli accordi esplorativi in Algeria e Libano e presto, probabilmente, faranno altrettanto in Egitto. Anche sul fronte libico una maggiore collaborazione tra i due colossi potrebbe portare vantaggi reciproci.

In sintesi, abbiamo ancora delle carte da giocare ma starà a noi scegliere se e come portare avanti questa partita.

NOTE SULL'AUTORE 

Michela Mercuri

Docente di Geopolitica alla SIOI. Membro del Comitato Scientifico CIPMO

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