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L’Analisi

Le incognite della Turchia nel contesto siriano

di Alberto Gasparetto

Data pubblicazione: 25 febbraio 2019

Il vertice sulla Siria fra Russia, Iran e Turchia, tenutosi il 14 febbraio scorso nella località russa di Sochi, sul Mar Nero, ha fatto emergere una comunione di intenti fra i tre attori alquanto consistente. Nella dichiarazione congiunta elaborata al termine dell’incontro, Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyip Erdogan hanno affermato la volontà di cooperare per il mantenimento dell’unità del Paese, della sua indipendenza e integrità territoriale, e di contrastare qualunque agenda separatista finalizzata alla disgregazione della Siria, richiamandosi ai valori e ai principi affermati sulla Carta ONU. I tre hanno anche fatto appello proprio all’ONU e alle sue agenzie perché s’impegnino a offrire la massima assistenza ai rifugiati e agli sfollati interni e a rafforzare le infrastrutture umanitarie (scuole, ospedali) e le forniture di acqua e cibo. Infine, hanno sostenuto che soluzione per la Siria può essere unicamente politica e non militare, in linea con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu 2254/2015. Per questa ragione, i tre hanno sostenuto la necessità di istituire presto un comitato costituzionale, impegnandosi a trovare un accordo relativo alla sua composizione e alle regole del suo funzionamento.

Sebbene sia stata ribadita la determinazione a rafforzare il coordinamento trilaterale, secondo quanto sinora costruito a partire dal primo vertice tenutosi fra le tre potenze nel gennaio 2017 ad Astana, Kazakistan, la Turchia avanza ancora alcune perplessità sia in merito alla definizione di una zona di sicurezza al confine con la Siria – su cui insiste da mesi anche con gli Stati Uniti – sia a proposito della permanenza di Assad al potere. Inoltre, a proposito dell’annunciato ritiro delle truppe Usa dalla zona nordorientale della Siria – che le tre potenze vedono come un fattore positivo per la stabilità del Paese – la Turchia ha chiesto rassicurazioni, auspicando un’attenta pianificazione e un coordinamento congiunto al fine che il vuoto che si creerà non venga colmato da forze che Ankara considera ostili. Il riferimento alle milizie curde è piuttosto ovvio. Da ultimo, Erdogan ha dichiarato che la Turchia non sarà più disposta a sostenere da sola la problematica questione dei rifugiati siriani; un messaggio chiaramente indirizzato a Bruxelles.

E’ principalmente attorno a tali questioni che Ankara giocherà la propria partita siriana nelle settimane e nei mesi avvenire. Il problema non riguarda tanto la galassia di gruppi jihadisti che sopravviveranno alla sconfitta del califfato islamico e delle altre sigle ad esso concorrenti. Malgrado le preoccupazioni generate dalla strenua resistenza di Hayat Tahrir al-Sham a Idlib, infatti, a settembre 2018 è stata stabilita una zona di de-escalation presidiata dalle tre potenze, mentre il gruppo erede di al-Nusra è ormai prossimo alla sconfitta. Su questo punto, tutti i principali attori, compresi gli Stati Uniti, concordano sulla necessità di eliminare ogni rimasuglio jihadista dal Paese, salvo poi scaricare sull’UE l’onere di farsi carico della questione, declinata in termini di ritorno dei foreign fighters e di esodo di combattenti intenzionati a riorganizzarsi nel contesto delle società europee.

Nel teatro siriano, la Russia rappresenta l’ago della bilancia fra opposti interessi, non soltanto fra la Turchia e il regime di Assad, ma anche fra Iran e Israele. Incarnando il ruolo di grande potenza mediatrice, Putin sta tentando di offrire garanzie a Erdogan circa la possibilità di sedersi al tavolo con Damasco, prefigurando una cooperazione in ambito militare secondo la cornice prevista dagli Accordi di Adana nel 1998 (che dava mandato al regime siriano di proteggere quello turco dagli attacchi del PKK). Tuttavia, Ankara ha espresso forti dubbi riguardo all’ipotesi di negoziare con Damasco, prima che vengano definite le condizioni e i tempi del ritiro delle truppe Usa (l’ultima notizia, diramata dalla Casa Bianca, è che resteranno 200 militari). A preoccupare fortemente la Turchia è lo statuto che, all’interno della nuova entità statuale siriana, verrà accordato al Rojava curdo, di cui Ankara sarà costretta ad accettare l’esistenza. Tuttavia, nel caso in cui Assad ed Erdogan trovino un’intesa, oltre a pretendere l’istituzione di una zona cuscinetto al confine con la Siria (eventualmente presidiata da truppe ONU), sarà verosimilmente Ankara a esigere da Damasco un sostegno fattivo per neutralizzare la minaccia rappresentata dalle milizie YPG, offrendo in cambio il proprio consenso al mantenimento di Assad al potere. D’altro lato, va osservato che anche le forze curde (il partito PYD, cui le YPG sono legate) pretenderanno analoghe garanzie contro eventuali attacchi armati da parte di Ankara.

A restare critica sarà la relazione strategica con gli Stati Uniti che, soprattutto sotto la presidenza Trump, si è fatta ancora più tesa. Un accordo con Washington sulla definizione di una safe-zone al confine siriano non è ancora stato raggiunto, mentre il presidente americano ha minacciato di “devastare economicamente” la Turchia nel caso in cui Ankara attacchi militarmente le YPG. Dichiarazioni retoriche fino a un certo punto, considerando sia il precedente delle sanzioni che l’estate scorsa hanno provocato un repentino crollo della lira, sia la propensione a sanzionare tutti quei paesi che intrattengano relazioni economiche con Russia e Iran – senza menzionare l’acquisto del sistema missilistico russo S-400 da parte turca.

Se Ankara non riuscirà a trovare un accordo win-win con Washington sulle questioni militari, e con Bruxelles sulla questione dei rifugiati e sulle questioni politiche legate anche all’evolversi della situazione interna, è plausibile attendersi che il Paese continuerà ad avvicinarsi a Mosca e Tehran, non limitandosi ad approfondire le relazioni sotto il profilo meramente economico-energetico-commerciale. Fatte queste considerazioni, comunque, è opportuno ricordare che, nonostante le ormai annose divergenze, la Turchia resta un alleato della NATO e un partner necessario anche per la stessa Unione Europea, mentre l’intesa sulla situazione siriana con Russia e Iran è puramente tattica e presumibilmente durerà finché anche la Turchia vedrà soddisfatti i propri interessi strategici e di sicurezza. Nel momento in cui tale circostanza verrà meno, Ankara tornerà prepotentemente a bussare alle porte di Washington e Bruxelles, e viceversa.

NOTE SULL'AUTORE 

Alberto Gasparetto

Ph.D., cultore di Scienza Politica presso il Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali dell’Università degli Studi di Padova. E’ autore della monografia “La Turchia di Erdogan e le sfide del Medio Oriente. Iran, Iraq, Israele e Siria” (Carocci, 2017).

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