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L’Analisi

Ad Annapolis pensando all’Iran

di Eric Salerno

Data pubblicazione: 13 dicembre 2007

Paradossalmente, una notizia che dovrebbe fare piacere a tutti giacché fa scendere di parecchio il mercurio della tensione nell’area mediorientale (e non soltanto) potrebbe avere anche un effetto negativo e frenare le spinte verso una pace negoziata tra Israele e i palestinesi. Nei mesi precedenti la conferenza, chiamiamola così, di Annapolis era evidente il senso d’urgenza generato, soprattutto nei paesi arabi, dalle pressioni destabilizzanti di Teheran. La parola “paura” era circolata, senza reticenze o pudore. Gli arabi, si diceva, e in primo posto l’Arabia saudita, temono un Iran potenza nucleare, gestita da un presidente, Ahmadinejad, provocatorio e votato a imporre il ruolo egemonico del suo regime sulla regione. Le rivelazioni dei servizi segreti americani per i quali i militari di Teheran avrebbero da anni accantonato la loro idea di rincorrere l’opzione nucleare, hanno allontanato nel tempo l’ipotesi di un attacco preventivo americano e/o israeliano. E il mondo ha tirato un sospiro di sollievo. La paura è, se non svanita, quantomeno ridotta. Chi prospettava una guerra per la primavera prossima, è costretta a rifare i conti. Ma questa significa, anche, che in mancanza di “paura” il clima di compromesso potrebbe svanire e lasciare spazio a chi, specialmente in Israele, ritiene che in ogni modo sia il tempo gioca a favore di quel paese.

Proprio in questi giorni israeliani e palestinesi cominciano il loro lungo dialogo sullo status finale. Tony Blair, ripetendo il giudizio del negoziatore palestinese Saeb Erekat, ritiene che entro un anno un accordo è possibile. Purtroppo, aggiunge, la realizzazione dello Stato avrà tempi più lunghi. Fino a quando il premier Olmert o il suo antagonista in casa, l’ex premier laburista Ehud Barak, parlano di raggiungere un’intesa da mettere, poi, in archivio aspettando il momento in cui “le condizioni” del mondo palestinese consentiranno la sua applicazione si ha motivo di temere il peggio. Chi giudicherà se i palestinesi potranno farcela? Loro stessi, spezzettati come sono in questo momento, o i governanti d’Israele?

Non c’è dubbio che creare uno Stato entro confini concordati può essere possibile soltanto se il territorio in questione è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Fin a quando Hamas governa a Gaza sarà impossibile procedere. Così com’è vero che alla guida d’Israele ci deve essere un governo capace (e sinceramente desiderosa) di convincere il suo popolo ad abbandonare il sogno di una Grande Israele, ad accettare di lasciare buona parte dei territori occupati compresa una parte di Gerusalemme Est sufficiente a soddisfare le rivendicazioni palestinesi. I mesi a venire ci diranno molto sulla capacità dei due leader “deboli”, Olmert e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di portare avanti negoziato e opera di convincimento. Per un noto analista israeliano, i due assolutamente non carismatici ma nemmeno appesantiti da vecchi rancori e sogni hanno maggiori possibilità di altri – come la vecchia guardia, da Arafat a Sharon – a regalare la pace alla regione.

E non è detto che ad aiutarli non ci sarà anche Teheran che anche durante il regime degli ayatollah aveva annunciato che non si sarebbe opposta a un’eventuale accordo di pace tra gli arabi e Israele se fossero stati rispettati i diritti dei palestinesi. Si parla, in questi giorni, della probabile apertura di un dialogo diretto tra Teheran e Washington. Bush e Condoleeza Rice, accantonata l’opzione militare, avrebbero deciso di stendere la mano all’Iran per ottenere un risultato simile a quello raggiunto con la Libia. Gheddafi e il suo paese sono usciti dall’isolamento internazionale e il presidente americano è arrivato proprio in questi giorni a dire di volere lavorare insieme con il leader libico, nemico numero uno di un recente passato, per raggiungere la pace mondiale. Bush si sarebbe convinto a imboccare la via della diplomazia accelerata con Teheran ma non si sa se Ahmadinejad, da una parte e dall’altra il clan dei falchi guidato dal vice presidente americano Dick Cheney,  siano dello stesso avviso.

NOTE SULL'AUTORE 

Eric Salerno

Giornalista, inviato speciale, esperto di questioni africane e mediorientali, è corrispondente de Il Messaggero. Con il Saggiatore ha pubblicato Uccideteli tutti! (2008), Mossad base Italia (2010), Rossi a Manhattan (2013) e a marzo 2016, Intrigo.

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