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L’Analisi

Troppo presto per dirsi ottimisti

di Antonio Ferrari

Data pubblicazione:  13 dicembre 2007

È diventato un vero tormentone: tutti si interrogano sul dopo Annapolis, e ovviamente tutti vogliono sapere che cosa succederà, se l’esito è positivo o negativo, o ancora se esista un esito della conferenza sul  Medio Oriente organizzata dall’Amministrazione-Bush, grazie all’impegno e all’ostinazione del Segretario di Stato Condoleezza Rice, per tentare di rilanciare il negoziato tra israeliani e palestinesi. Sembrano i soliti quesiti, affiorati un nugolo di volte, dopo ogni «vertice della speranza».

Stavolta però la possibile risposta è doppia: sostanzialmente non c’è nulla di nuovo, perchè dentro la scatola di Annapolis c’era il vuoto, nel senso che tutti i problemi concreti non sono stati neppure affrontati, quindi si partiva e si è chiuso con un calendario di buone intenzioni; formalmente, qualcosa di nuovo c’è, e non soltanto perchè le parti -il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen- si sono impegnate solennemente ad affrontare i nodi del negoziato e a chiuderlo entro il 2008, comunque prima dell’uscita di scena del presidente Bush. Ma perchè ad Annapolis erano presenti 16 Paesi arabi, molti dei quali sono ancora in stato di guerra con Israele. Tra questi Paesi, spiccavano l’Arabia Saudita, che da qualche anno ha deciso di diventare soggetto politico attivo nelle vicende mediorientali, e la Siria, uscita dal novero dei Paesi canaglia o quasi.

Basterebbero questi elementi per poter dire che l’esito della conferenza, quantomeno il fatto che si sia tenuta, è positivo. Personalmente, credo sia assai più interessante indagare sulle ragioni che hanno portato all’organizzazione del vertice. Alcune ovvie, come la volontà del presidente Bush, che dopo una serie di fallimenti mediorientali (primo fra tutti la guerra all’Iraq e le sue disastrose conseguenze regionali) ha bisogno di chiudere il suo secondo mandato con un successo, o almeno un mezzo successo, di riverniciare la propria immagine internazionale. Altre meno ovvie, ma assai intriganti. Al di là delle necessità propagandistiche, pareva infatti che l’unico target mediorientale dell’Amministrazione nel 2008 non fosse la pace ma la guerra all’Iran, con la concreta possibilità di impegnare gli Stati Uniti in un nuovo conflitto. Ora, appare chiaro che gli stessi sostenitori di Bush, e in particolare i vertici del partito repubblicano siano assai scettici sull’ipotesi di un nuovo coinvolgimento militare, che avrebbe conseguenze imprevedibili sulla campagna elettorale americana, ormai entrata nel vivo. La possibilità che la vittoria dei democratici a novembre si trasformi in un trionfo, che suonerebbe umiliante per gli sconfitti, diventerebbe altissima.

Ma c’è di più. Il documento che rivela come l’Iran avesse interrotto il programma «militare» nucleare nel 2003, diffuso negli Stati Uniti subito dopo la conferenza di Annapolis, potrebbe essere letto come un deciso segnale indirizzato alla Casa Bianca ad evitare nuove avventure e ad ascoltare chi ritiene più utile percorrere le vie della diplomazia, ascoltando i consigli dell’Unione Europea.

Quindi, il rilancio del negoziato israeliano-palestinese e l’impegno americano a diventarne giudice attivo e premuroso può essere letto come l’esclusivo impegno a tutto campo per la politica estera degli Usa nella regione, allontanando il focus da Teheran. Che tutto questo porti a qualche clamoroso sviluppo nei negoziati tra Olmert e Abu Mazen è da vedere. Anzi, c’è da dubitarne. È difficile, infatti, poter essere ottimisti.

NOTE SULL'AUTORE 

Antonio Ferrari

Giornalista e scrittore, nato a Modena nel 1946. Ha cominciato come cronista al «Secolo XIX» di Genova, e dal 1973 è al «Corriere della Sera»: inviato speciale ed editorialista. Dopo aver seguito gli anni del terrorismo italiano, con le trame nere e rosse, è passato all'estero. Prima in Europa e nei Paesi dell'Est comunista, per approdare nei Balcani, nel Medio Oriente e in Nord Africa. Ha seguito quasi tutte le crisi di queste regioni, le guerre, i tentativi di pacificarle. Ha intervistato, nel corso degli anni, quasi tutti i leader di un'area estesa ed estremamente variegata. È membro del Comitato scientifico del CIPMO (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) e di Gariwo (La foresta dei Giusti).

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