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L’Analisi

L’accordo interpalestinese: la riuscita non è scontata

di Ugo Tramballi

Data pubblicazione:15 settembre 2006

Ogni volta che finisce una guerra in Medio Oriente, il pericolo é che sia solo servita a preparare quella successiva: é quasi sempre accaduto così. Ma ogni volta si accende anche la speranza: è una condizione umana più che politica. Anche questa volta la fine del conflitto in Libano, la nascita di una “Unifil 2” resa muscolosa da regole d’ingaggio più forti, da più uomini, più mezzi, più determinazione e nazioni più importanti, solleva l’illusione che quel Paese abbia finalmente incominciato ad avviarsi verso la stabilità.
E la speranza per una crisi apre subito aspettative riguardo a un’altra, la più antica, la madre di tutte le instabilità mediorientali: la questione palestinese. A luglio e agosto il fronte era in Libano, ma a Gaza e Cisgiordania non é mai cessato quel conflitto definito “a bassa intensità” che pure ogni giorno ha avuto un bilancio di morti e distruzioni, ignorato dalla diplomazia e dalla stampa internazionale. È possibile che il cessate il fuoco, le nuove condizioni politiche emerse dal campo di battaglia in Libano si riflettano anche sulla Palestina? Mentre i cannoni e i razzi tuonavano attraverso la frontiera fra Libano e Israele, nel campo palestinese qualcosa si é mosso: il tentativo di formare un governo di unità nazionale Fatah-Hamas finalmente ha preso forma; il movimento fondamentalista ha mostrato qualche segno di pragmatismo; la comunità internazionale ha stanziato nuovi aiuti economici, sia pure sotto forma di aiuto d’emergenza, togliendo in qualche modo dall’isolamento assoluto il governo Hamas.
Basta questo per sperare in una fase nuova anche nel conflitto fra israeliani e palestinesi? È sempre antipatico essere pessimisti quando sarebbe utile mostrare un po’ di ottimismo. Ma la risposta é sfrortunatamente no. Intanto il cessate il fuoco in Libano, il ritorno a Sud dell’esercito regolare e dunque del governo legittimo, il dispiegamento della forza multinazionale, non sono ancora una garanzia che la guerra non riprenda. Il generale Alain Pellegrini, il comandante francese dell’Unifil, lo ripete ogni giorno: la tregua é così debole che potrebbe essere violata irreparabilmente in ogni momento, alla prima provocazione di Hezbollah o d’Israele. Quello che la crisi libanese può trasmettere alla regione non é ancora stabilità: é solo incertezza. E sarà così per molti mesi ancora.
Le cose che intanto sono accadute nell’universo palestinese – in realtà continua ad essere un arcipelago confuso e rissoso – non sono tali da far prevedere una svolta. Almeno fno a che Israele non le ritenga tali. Qualsiasi evuluzione interna a Gaza é di gran lunga più debole del quadro generale che resta difficile. Il governo di unità nazionale è stato deciso per una somma di debolezze: il presidente Abu Mazen è il fantasma di sempre e il primo ministro Haniye sta dimostrando di essere inefficace: a Gaza si continua a rapire, le bande armate scorrazzano senza che il governo di Hamas riesca a dimostrare di avere un polso più fermo di Fatah.
Tuttavia, a questo punto della vicenda mediorientale, é sbagliato continuare a pensare che le crisi non abbiano un legame capace di tenerle tutte in tensione. In un’area di circa 200 chilometri quadrati c’é tutto: Gaza, il Sud del Libano, il Golan siriano occupato dagli israeliani, le fonti idriche che dissetano la regione. E se solo allarghiamo un po’ l’area disastrata, possiamo aggiungere anche il petrolio del Golfo, il caos irakeno, le ambizioni iraniane e il nucleare. Qualcuno ha proposto di organizzare una nuova conferenza internazionale per il Medio Oriente. Pensare che un’iniziativa diplomatica così magmatica possa risolvere qualcosa, é illusorio. Nel 1991 la conferenza di Madrid, convocata solo per il conflitto arabo-israeliano, non andò molto lontano. Tuttavia é corretto incominciare a convincersi che non esistono crisi a compartimenti stagni: il disarmo di Hezbollah passa dalla ripresa della trattativa fra Siria e Israele per la restituzione del Golan; il ritorno al dialogo fra israeliani e palestinesi toglie forza agli estremisti; stabilità o disordine nella regione passano dalla soluzione del nucleare iraniano; e ogni protagonista del grande gioco continuerà a chiedersi quanto ogni sparo o ogni passo di pace influisca sul prezzo del barile.

NOTE SULL'AUTORE 

Ugo Tramballi

Inviato speciale de Il Sole 24 Ore e responsabile del blog http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/ 

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