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L’Analisi

Israele e Europa: più vicinanza, meno diffidenza, ma senza velleitarismi

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:10 ottobre 2006

1.     Per anni la strategia politico-militare di Israele nei riguardi dei suoi vicini arabi è stata guidata da un assioma: il ritenere che l’unica garanzia di sicurezza risiede nella forza e nella capacità di autodifesa. Tale convinzione affonda le sue radici nella storia: nella storia di quel giovane stato e, ancor più in profondità, nella storia lunga del popolo ebraico, una storia di esilio, espulsioni, persecuzioni, solitudine.
La stessa nascita dello stato di Israele, contro il colonialismo britannico e l’opposizione violenta del mondo arabo, a pochi anni dal genocidio hitleriano, si è fondata su una primordiale esigenza di sopravvivenza in un mondo ostile. La legalità di Israele risiede nel Piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947; quindi, il suo diritto ad esistere come stato sovrano proviene direttamente da una decisione della comunità internazionale; ma la sua legittimità etico-politica sta nel diritto di un popolo ad esistere in pace e sicurezza.
Era questo l’obiettivo del sionismo come movimento di emancipazione nazionale degli ebrei: un luogo fisico, nella terra di Israele o piuttosto su una frazione di essa, dove gli ebrei fossero maggioranza, soggetti del proprio destino, un popolo “normale” nel concerto delle nazioni sovrane.
Come gli eventi di ogni giorno ci ricordano, uno stato sovrano non significa di per sé sicurezza fisica per i suoi abitanti né la rimozione della condizione ebraica di precarietà e angoscia. Anzi il diritto di Israele ad esistere come Stato accettato nella sua integrità e sicurezza nel Medio Oriente è ancora oggi messo in forse.

2.     Vi è in Israele un’acuta diffidenza, sedimentatasi negli anni, nei confronti dell’ONU e in particolare dell’Europa. Una diffidenza fondata su un’amara esperienza storica: rispetto all’ONU, l’abbandono nel maggio 1967 delle forze di interposizione insediate sui confini con l’Egitto e il pervicace preconcetto antiisraeliano di una sequela di Risoluzioni dell’ONU; rispetto all’Europa, la percezione di una posizione dell’Europa sbilanciata in favore dei palestinesi e ostile verso Israele.
Il superare tale diffidenza non può essere compito soltanto di Israele, ma anche dell’Europa che con altre nazioni deve farsi carico concretamente della difesa del diritto all’esistenza di uno stato membro dell’ONU, ancora rigettato a quasi 60 anni dalla sua fondazione.
La Risoluzione 1701, che contempla una forza dell’ONU, con un peso preminente delle nazioni europee, sul confine fra Israele e Libano, volta a rafforzare la tregua in atto, a restituire sovranità allo stato libanese sul suo territorio e a disarmare le milizie illegali, è un successo diplomatico di Israele dopo una guerra non vinta sul campo. Essa sancisce il riconoscimento da parte della comunità delle nazioni del fondato suo diritto di autodifesa e della necessità di proteggere Israele dagli aggressori vicini (Hezbollah) e lontani (Iran).

3.     Quanto alla proposta dell’ingresso di Israele nella UE, dico subito che la trovo velleitaria, e in ultima analisi nociva per Israele, il cui futuro di pace e di normalità non può prescindere da un’integrazione politico-economica nel Medio Oriente.
E’ velleitaria, perché dopo l’ultima estensione a 27 paesi (con Romania e Bulgaria che aderiranno nel 2007) e con le lacerazioni che dividono l’Unione circa il negoziato con la Croazia e la Turchia, e l’aspirazione di nazioni dei Balcani (Macedonia, Albania, Bosnia) ad entrare nell’Unione, non è possibile per la UE immaginare un ulteriore allargamento. La questione finora irrisolta dei “confini” esterni dell’Europa si porrà quindi con urgenza.
Ma è anche contraria agli interessi di lungo periodo di Israele.
Israele non è Europa; esso è parte del Medio Oriente; è Oriente e Occidente allo stesso tempo, una società fortemente multietnica, variegata per costumi, culture, lingua; gli israeliani originari o figli di immigrati dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa sono ormai prevalenti su quelli di ascendenza europea.
Come osservava già anni fa in un saggio preveggente Amos Elon, i “figli” sono molto diversi dai “padri fondatori”.
Su un fronte più squisitamente politico, l’ingresso di Israele nella UE darebbe ulteriore forza al preconcetto così radicato nel mondo arabo per cui Israele è una “testa di ponte” dell’Occidente nel Medio Oriente, un corpo estraneo, un tumore maligno da rimuovere.

4.     Israele è già legato alla UE da un accordo di associazione, cioè, da forme di cooperazione economico-commerciali, così come altri 11 paesi del Mediterraneo.
Questo accordo è iscritto in un progetto, sottoscritto a Barcellona nel lontano 1995, per giungere a una zona di libero scambio tra la UE e questi paesi partners entro il 2010. Malgrado deficienze e ritardi, il processo va avanti. Ma, in aggiunta, nel caso specifico di Israele, la UE potrebbe cogliere una proposta avanzata anni fa da Shimon Peres e altri di cooperare alla costruzione di una federazione economica tra Israele, Giordania, e uno stato finalmente sovrano di Palestina, associata con legami di favore con la stessa UE. Accanto a una vigorosa iniziativa politica, concertata con gli Stati Uniti, per spingere Israele, i palestinesi e la Siria ad avviare il negoziato e rimuovere così l’immobilismo paralizzante che dalle trattative di Camp David e Taba del 2000-2001 soffoca la regione, un’azione siffatta sul piano economico darebbe un impulso rilevante a un futuro di pace e prosperità in quella parte travagliata del mondo.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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