L’Editoriale

Israele al voto. Il bivio incerto

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:10 marzo 2015

A otto giorni dal voto in Israele, l’incertezza domina sovrana. Si è trattato di una strana campagna elettorale: apertasi con sondaggi secondo cui oltre il 60% di elettori non voleva più Netanyahu alla guida del paese, stanno per concludersi con i due principali partiti, il Likud e il blocco dell’Unione Sionista, guidato da Isaac Herzog, leader del Partito Laburista, insieme a Tzipi Livni, leader del partito centrista HaTnuah, alla pari nei diversi sondaggi, accreditati di 23 seggi ognuno. Sarà il leader che arriva davanti a ricevere per primo l’incarico di formare il governo dal Presidente Reuven Rivlin, avendo così la prima opportunità di mettere insieme una maggioranza.

L’Unione Sionista aveva guidato a lungo, sia pure di poco, le previsioni elettorali, sopravanzando il Likud di uno o due seggi, ma in questi ultimi giorni il divario si è appianato.

Ha inciso, certamente, il forte discorso sul problema dell’Iran, pronunciato da Netanyhau di fronte ai due rami riuniti del Congresso USA, su invito del Presidente della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Boehner. Un discorso che ha provocato un duro scontro con il Presidente Obama e con larga parte del Partito Democratico; ma che certo ha avuto un impatto notevole sulla opinione pubblica israeliana, anche se forse minore di quanto il leader israeliano si sarebbe atteso.

La campagna elettorale di Netanyahu ha giocato su due elementi essenziali. Il primo è stato spostare il confronto elettorale sui temi della sicurezza e dei rischi interni e internazionali che Israele continua a correre. Dapprima con la partecipazione, decisa contro il parere del Presidente francese Hollande, ai funerali per gli attentati alla rivista Charlie Hebdo e contro il quartiere ebraico parigino; poi con il bombardamento nel Golan Siriano, con l’uccisione tra gli altri dell’alto comandante di Hezbollah Imad Mughniyeh, insieme al generale iraniano Jibu Ali Tabtabai; infine con il discorso sull’Iran al Congresso USA. I temi dell’economia, della crisi degli alloggi, del carovita, del disagio sociale, su cui puntavano le opposizioni, sono così passati in secondo piano, non sono stati il perno del confronto.

Il secondo elemento è la statura e la credibilità di leader che deve avere un candidato premier: quella statura che Netanyahu ha secondo oltre il 40% degli intervistati, mentre Herzog si ferma al 27%. Herzog non si è certo distinto per statura internazionale, e d’altronde anche il patto di rotazione della premiership stipulato con Tzipi Livni per ottenerne l’alleanza non ha certo rafforzato la sua credibilità e la sua immagine.

La situazione quindi a una settimana dal voto si presenta oltremodo incerta. L’Unione Sionista di Herzog e Livni, accreditata di 23-4 seggi, insieme ai 13 di Yesh Atid, partito laico diretto da Yair Lapid, e ai 5 del Meretz, partito di sinistra sociale, arriva a circa 40 seggi.
Vi è poi un blocco di centro che viene stimato intorno a 13 seggi, rappresentato da Kulanu, un partito diretto dall’economista Moshe Kalon, staccatosi dal Likud, che viene accreditato di 8 seggi, e da Yisrael Beiteinu (una formazione pressoché distrutta da una estesa inchiesta giudiziaria che ha incriminato larga parte dei suoi esponenti), partito diretto dal noto falco Avigdor Lieberman, anch’egli in rottura con Netanyahu e ora spostatosi su posizioni più moderate, fino a non escludere una alleanza con la sinistra
Un elemento di novità è dato dalla presenza di una lista unitaria dei quattro Partiti arabo israeliani, Hadash, Balad, Ta’al e Ra’am, che secondo le previsioni dovrebbero prendere intorno ai 12-13 seggi, ma che potrebbero conquistarne anche 15. Si tratterebbe i un importante successo, che sottolineerebbe il ruolo essenziale di questa minoranza, che rappresenta il 20% della popolazione.
Va detto, tuttavia, che difficilmente i voti della lista araba potrebbero essere utilizzati per la formazione di un governo, sia per resistenze che si determinerebbero al suo interno ad allearsi ai “Partiti sionisti”, sia per la difficoltà di questi ultimi ad accettare quei voti. Al massimo, come già è accaduto, si potrebbe arrivare al loro appoggio esterno.

Ma è molto difficile che Kalon e Lieberman, che pure vorrebbero una alleanza con Herzog, possano accettare quei voti “non sionisti”.

Ma anche per Netanyahu non sarà facile: oltre ai 23 del Likud, può contare sui 12 attribuiti a Habayit Hayehudi , guidato dall’alleato-rivale di estrema destra, Naftali Bennet. Totale 35.

L’ago della bilancia saranno quindi i tre partiti religiosi, lo Shas, partito sefardita, accreditato di 7 seggi, Yahad, derivante da una scissione dallo Shas, accreditato di 4 seggi, e United Torah Judaism, aschenazita, con 6 seggi. In totale, quindi, i partiti religiosi arriverebbero a 17 seggi. Il leader del Likud dovrebbe ottenere l’alleanza sia di tutti i religiosi, che dei due partiti centristi Kulanu e Yisrael Beiteinu, per arrivare a 64 seggi. Ma non sarà facile.

Stessa cosa vale per Herzog: dovrebbe ottenere il voto di almeno qualcuno dei partiti religiosi, ma la presenza tra i suoi alleati di Yair Lapid, che ha imposto nella passata legislatura la coscrizione obbligatoria dei giovani ortodossi, non gli renderà la vita facile.

Va detto che stiamo parlando di sondaggi, vale a dire una delle cose più volatili e incerte che ci siano. E’ possibile che dal voto emerga un impasse, e che l’ipotesi di un Governo di Unità nazionale Netanyahu-Herzog torni prepotentemente alla ribalta, anche se in questa fase entrambi i pretendenti la rifiutano.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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