L’Editoriale

Immigrazione, una politica oltre l’emergenza

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 15 settembre 2017

In queste settimane nei reportage sulla Libia di Umberto De Giovannangeli Huffington Post, e poi di Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera, si è fatta luce sul ruolo essenziale giocato dalle milizie libiche nel complicato rompicapo del paese.

Tentare di inglobare le milizie libiche nella lotta contro il traffico di uomini verso le nostre coste, traffico in cui esse stesse erano state coinvolte, era probabilmente l’unica strada percorribile. Anche se i nostri servizi segreti hanno dovuto pagare un prezzo, che non sarà mai ovviamente riconosciuto ufficialmente dal Governo italiano (altrimenti a che servono i servizi?), questo prezzo è infinitamente inferiore a quello che il Sistema paese stava affrontando per gestire il flusso incontrollato degli arrivi, dai salvataggi in mare alla accoglienza e al processo di inclusione di rifugiati e immigrati economici, oltre alla tragica ecatombe delle vittime inghiottire dal Mediterraneo, e ai costi sociali e politici che la situazione determinava on Italia.

Più in generale, è impensabile cercare di affrontare la crisi di paesi dilaniati da una guerra civile endemica e flagellati da centinaia di milizie armate, senza organizzato un processo strutturato che porti al loro superamento e inserimento nelle strutture militari ufficiali, cercando di ricostruire almeno una parvenza di esercito e di servizi di polizia nazionali. Le milizie non scompaiono con un colpo di bacchetta magica. Ugualmente giusto è stato sostenere il Premier internazionalmente riconosciuto Fayez al-Sarraj, certamente debole e isolato ma persona più limpida e trasparente dei suoi concorrenti.

Ugualmente sensato è stato aprire all’interlocuzione con il generale Haftar, come ha fatto recentemente il Ministro Minniti, dato che si tratta di una pedina ineludibile sullo scacchiere libico, anche se certamente non la soluzione migliore per l’Italia come Premier, per le sue caratteristiche di aspirante Rais e dato che è legato alla cordata avversaria franco-russo-egiziana.

La giustezza e l’esemplarità dell’impostazione e delle iniziative del Governo italiano, riguardo a tutti questi aspetti e a quelli più complessivi dell’emergenza immigrazione sono state finalmente riconosciute nelle ultime settimane ai massimi livelli europei, e hanno trovato eco anche nella recente intervista di Papa Francesco al Corriere della Sera.

Ma ora è sempre più necessario andare oltre l’emergenza, adottando un approccio complessivo lungo queste direttrici:

1) Lavorare per un Governo di Unità Nazionale reale, possibilmente centrato su Sarraj ma in cui Haftar abbia un ruolo forte da svolgere;

2) Continuare la lotta contro il traffico inumano di esseri umani verso le nostre coste, sviluppando e rafforzando le iniziative e procedure già messe in atto e esigendo la cooperazione europea già sollecitata e annunciata nei recenti vertici della UE;

3) Rafforzare la vigilanza sui confini meridionali della Libia, in accordo con le municipalità e tribù locali, come già ha cominciato a fare l’Italia, per impedire che tali sacche di disperati continuino ad essere alimentate;

4) Intervenire sulla situazione dei campi profughi in Libia, contrastando abusi e violenze e valorizzando il ruolo dell’OIM, delle Agenzie dell’ONU e della stessa Croce Rossa, in raccordo con la locale Mezzaluna Rossa, con l’aiuto di ONG internazionali che si rendessero disponibili: anche se non si può ignorare la delicatezza e la difficoltà dell’intervento, da realizzare in uno Stato sovrano, ma di fatto uno Stato solo nominale;

5) Svuotare al più presto questi campi profughi, attivando un programma straordinario da gestire al livello dell’Europa e con il suo diretto coinvolgimento anche finanziario, attraverso la pratica dei rimpatri assistiti, con l’aiuto dell’ONU e della Comunità internazionale; concedendo contestualmente l’ingresso in Italia e in Europa (che non può continuare a lavarsene le mani) ai rifugiati che ne hanno diritto. Si tratta di una operazione enorme, che riguarda oltre 100.000 persone ammassata nei diversi campi profughi in condizioni drammatiche, una piaga purulenta che non va lasciata marcire;

6) Assicurare il passaggio dall’emergenza alla gestione ordinata dei flussi migratori, potenziando i canali umanitari per i rifugiati (che però, non bisogna dimenticarlo, rappresentano il 10% del totale), e soprattutto avviando canali ordinari e regolati di immigrazione legale, coerenti alle esigenze del nostro sistema economico e adeguatamente preparati con processi formativi nei paesi di origine, sia di lingua italiana, che di percorsi mirati di formazione professionale, in stretto raccordo con i governi locali;

7) Avviare contestualmente progetti di co-sviluppo con i paesi di origine, che superino ogni residuo carattere assistenziale e siano basati su parità e reciprocità di interessi, coinvolgendo l’insieme del Sistema Italia, dalle ONG già attive al riguardo al complesso delle organizzazioni imprenditoriali ed alle singole imprese potenzialmente interessate, che vanno tuttavia indirizzate e assistite. Il rapporto con l’Africa non va concepito come residuale, ma come opportunità primaria, come d’altronde hanno ampiamente compreso molti dei principali player internazionali, dalla Cina all’India, alla Turchia, allo stesso Israele, sempre più largamente presenti nel Continente.

8) Andare oltre l’immediato e necessario salvataggio in mare e alla prima accoglienza, assicurando coerenti politiche di inclusione che facciano perno in primo luogo sulle comunità diasporiche di appartenenza, unitamente al tessuto del volontariato civile e religioso e in stretta collaborazione con le Istituzioni locali e nazionali;

9) Coinvolgere le Comunità diasporiche di origine e le organizzazioni religiose di appartenenza dei nuovi arrivati nel controllo e nel contrasto ai processi di radicalizzazione e alle possibili derive jihadistiche e terroristiche, in stretto e continuo rapporto con le Istituzioni locali e nazionali addette a questo scopo, sviluppando in parallelo e adeguatamente i necessari servizi di vigilanza e prevenzione, che d’altronde hanno già dimostrato tutta la loro efficienza in tutto questo così tormentato periodo.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

Leggi tutti gli EDITORIALI