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L’Editoriale

Se Assad non è più il nemico pubblico n° 1

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:25 settembre 2015

In due recenti articoli, Sergio Romano sul Corriere della Sera Alberto Negri sul Sole 24 ore hanno posto una questione fondamentale: ma Assad è ancora il nemico pubblico n° 1?

È ovvio che nessuno vuole cancellare i massacri compiuti da Bashar Assad contro il suo popolo. Ma è altrettanto evidente che si vuole a tutti i costi evitare che da una sconfitta di Assad sul terreno militare scaturisca una Siria a guida Isis, che è, grazie ai generosi finanziamenti provenienti da cittadini e anche dai servizi da paesi di area sunnita, quali l’Arabia Saudita, il Katar, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti, oltre che dall’autofinanziamento riscosso in loco, la forza di opposizione di gran lunga più combattiva e meglio armata, rispetto alle altre formazioni che combattono il regime, le cui truppe troppo spesso esistono solo sulla carta, e la cui collocazione resta d’altronde incerta.

Le sorti di Assad, che negli anni scorsi erano sembrate precarie, appaiono oggi consolidate per il deciso intervento della Russia, che ha inviato migliaia di consiglieri e ha dispiegato decine di caccia con i rispettivi piloti, per bombardare le basi del Califfato. Mosca è certo interessata a mantenere sotto il suo controllo il porto siriano di Tartus, ultimo vestigio della presenza russa nell’area; ma ancora più a dire la sua nella gestione della crisi, garantendosi una presenza ed un ruolo anche nella fase del post-conflitto, contrariamente a quanto è accaduto in Libia.

La Russia, in realtà, non tiene più di tanto alla sopravvivenza di Assad, come ha più volte dichiarato il Ministro degli Esteri Lavrov, ma vuole garanzie su quello che accadrà il giorno dopo Assad, quale Siria potrà scaturire dalla crisi, quale spazio potrà essere riservato per la influenza e la stessa presenza russa.

Da qui una sua accentuata iniziativa diplomatica, che dapprima ha offerto una positiva soluzione negoziale per la crisi esplosa per l’uso di armi chimiche da parte del regime siriano, consentendo agli Usa una onorevole via di uscita che evitasse la pericolosa escalation militare, verso cui spingevano Francia e Inghilterra; poi rilanciando la proposta di una ampia alleanza internazionale (di cui la Russia faccia parte insieme all’Occidente), per sconfiggere l’Isis, giudicata un pericolo contagioso.

L’obiettivo sarebbe la formazione di un governo di coalizione tra Assad e la opposizione moderata, e l’unione delle loro forze militari sul terreno, per sconfiggere le milizie dell’Isis e quelle del Fronte di Al Nusra, legate a Al Qaeda.

Ma Assad si giova anche del rafforzamento di un altro suo alleato essenziale, l’Iran, dopo la positiva conclusione del lungo negoziato sul suo programma nucleare. L’Iran ha sostenuto Assad inviando truppe sul terreno, attraverso la sua filiazione libanese, l’Hezbollah, e con l’invio di armi e finanziamenti. Il suo ruolo di grande potenza regionale è oramai indiscusso, ed i grandi mezzi messi a disposizione dallo scongelamento degli enormi fondi bloccati dalle sanzioni internazionali lo doterà di nuove capacità di intervento e di pressione.

Persino dal suo nemico storico, Israele, Assad non deve temere granché: Lo Stato ebraico ha sempre considerato il Premier siriano “il suo miglior nemico”, e recentemente, riporta Il Sole 24 ore citando una dichiarazione di Netanyahu, avrebbe concordato con Putin ‘un meccanismo’ in grado di prevenire conflitti tra i due paesi, garantendo che le forze russe in Siria “non partecipino ad azioni aggressive contro Israele”.

Anche il Premier turco Erdogan è in questi giorni a Mosca, per chiedere garanzie contro l’unica questione che lo preoccupa davvero, la possibile nascita di uno stato curdo alle sue frontiere. Gli Stati Uniti, dal canto loro, devono prendere atto che la loro strategia è contraddittoria e inconcludente. Come dice Sergio Romano, “Washington non vuole Assad, non vuole l’Isis e non vuole Putin nel Mediterraneo”, e vuole ottenere tutto ciò senza l’invio di truppe a terra. Mission impossible, si potrebbe dire. Il Segretario di Stato, John Kerry, parlando al termine del suo incontro con il collega britannico Philip Hammond, è sembrato voler correggere il tiro, aprendo al dialogo con la Russia, e affermando che Assad dovrà essere sostituito, ma potrà ancora svolgere un ruolo nella fase di transizione. Il suo interlocutore inglese, Hammon, ha così sintetizzato le comuni conclusioni: “Assad non potrà far parte del futuro siriano nel lungo termine, ma le modalità e I tempi della sua sostituzione devono far parte di una soluzione politica che ci consenta di procedere avanti”.

“Quel che si profila è una ripresa del cosiddetto Processo di Ginevra, avviato nell’omonima conferenza all’inizio del 2014, che si proponeva di mettere insieme il governo siriano e le opposizioni per discutere della possibilità di procedere attraverso chiare tappe verso la formazione di un governo transitorio munito di pieni poteri esecutivi”.

Un processo di cui Russia ed Iran dovranno necessariamente far parte, se non si vuole che le proposte e le soluzioni trovate restino ancora una volta solo sulla carta.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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