L’Editoriale

Le reticenze occidentali sull’Arabia Saudita

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:17 dicembre 2015

Per Hillary Clinton, parlare di Islam radicale “suona come una dichiarazione di guerra contro una religione, e non rende giustizia al grande numero di musulmani pacifici del nostro paese. Siamo in lotta contro una ideologia dell’odio, e dobbiamo vincere. Ma sia chiaro, l’Islam non è il nostro avversario”.

Un approccio simile si è avuto nell’intervento di Matteo Renzi alla conferenza MED, organizzata dall’ISPI a Roma nei giorni scorsi. Giusta è stata la sua riconferma della priorità da dare alla soluzione politica delle crisi siriana, rispetto allo stesso intervento armato contro l’ISIS, da condurre, ma sapendo quali sono gli obbiettivi che ci si propone e i risultati che si vogliono ottenere: attraverso un approccio inclusivo, rispetto alle diverse etnie e religioni del paese, che tutte devono essere chiamate a governare la transizione e a dirigere il paese, ed anche rispetto ai grandi player regionali e internazionali, dagli Stati Uniti, alla Russia, all’Europa, all’Arabia Saudita, agli Emirati, all’Iran, alla stessa Turchia, come indicato dall’ultimo incontro di Vienna, lo scorso 30 ottobre. Renzi non ha tuttavia accennato alle contraddizioni interne alla coalizione, alle radici ideologiche da cui l’ISIS trae la sua ispirazione.

La sua prudenza è comprensibile: oltre ai legami con il mondo musulmano (e con gli elettori musulmani del suo paese), cui fa riferimento la Clinton, ed alla preoccupazione di evitare una guerra di religione, vi sono i copiosi interessi economici che ci legano all’Arabia saudita, e non ultima la preoccupazione di non irritare ancora un alleato, già così fortemente allarmato e infastidito dal recente accordo sul nucleare iraniano, che restituisce all’Iran il suo ruolo di grande potenza regionale.

Non si può tuttavia ignorare la contraddizione entro cui si dibatte la Monarchia saudita, che basa la sua legittimità storica sul patto contratto con il clero wahhabita, in cambio del riconoscimento del Wahhabismo come religione di Stato, mentre il Wahhabismo, se non è il diretto organizzatore (a questo pensano i servizi segreti e le fondazioni religiose dell’Area), è il brodo di cultura su cui prolifera il cancro dell’ISIS, che quella stessa monarchia tiene sotto attacco, contestandone la legittimità. Un autentico “Comma 22”, da cui è difficile districarsi.

Questa analisi è stata pubblicata sul numero di PANORAMA in edicola il 17 dicembre 2015

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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