L’Editoriale
Così è finita la luna di miele tra Egitto e Turchia – Intervista a Bahgat Korany
di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
Data pubblicazione: 15 aprile 2014
Studioso di fama internazionale e docente all’Università Americana del Cairo, Bahgat Korany ha partecipato al Convegno sulla politica estera della Turchia, organizzato a Milano da CIPMO e la rivista East Global Geopolitics.
Ne abbiamo approfittato per porgli alcune domande sulle relazioni tra Egitto e Turchia.
Il Presidente turco Erdogan, al Cairo, aveva presentato il suo modello di un Islam democratico, pluralistico e “secolare”. Ma non ha funzionato. Cosa è successo?
Anche prima dell’inizio della Primavera Araba, vi era molta attenzione sulla Turchia, ma anche diffidenza. Sotto Mubarak, ci si interrogava sulle motivazioni reali delle loro azioni. Si cercava di mantenere le questioni arabe nel solo alveo arabo. Con la Primavera cambiò tutto e gli egiziani non sollevarono più obiezioni sul ruolo turco. Quando Erdogan venne al Cairo, con il suo discorso sottolineò che il suo Partito islamico, l’AKP, era al potere in Turchia, ma all’interno di uno stato secolare. Questa posizione in qualche modo spiazzò i Fratelli Musulmani. Alcuni di loro non se lo aspettavano, pensando che Erdogan esprimesse totale supporto per uno stato islamico. I gruppi laici, invece, furono molto contenti di tale posizione.
Quella fu la fase della luna di miele tra la Turchia di Erdogan e l’Egitto, e con il mondo arabo. La stessa Lega araba chiese alla Turchia di associarsi come osservatore e di farsi mediatore di alcuni difficili conflitti. Con l’arrivo dei Fratelli Musulmani al potere, Erdogan ha pensato di poter contare non solo su un ottimo rapporto tra la gente, ma su un alleato prezioso. Ma il suo errore è stato di non aver valutato e previsto la debolezza del governo islamico.
Ovviamente le cose cambiarono drasticamente dopo il 3 luglio, quando l’esercito prese il potere e Morsi venne deposto. Erdogan e la Turchia sono parsi sorpresi, reagendo in modo categorico, prendendo le parti dei Fratelli Musulmani e denunciando il colpo di stato, affermando che Morsi è ancora il legittimo presidente senza rilevare la fluidità, la complessità e la difficoltà della situazione. Da lì è iniziato il declino della loro influenza non solo in Egitto, ma in tutto il mondo arabo, come dimostra la sospensione da parte dell’Unione degli Emirati Arabi di un grande progetto energetico con la Turchia di 12 miliardi di dollari.
Fu solo per responsabilità di Erdogan?
Quando l’esercito prese il potere, poté contare su un largo appoggio popolare. Per loro, si è trattato di una “seconda rivoluzione”. Le fotografie documentano questo sostegno di massa non solo al Cairo e ad Alessandria, ma in tutto il paese.
D’altronde, anche all’interno dei Fratelli Musulmani vi era un forte fronte critico contro Morsi e il suo modo di governare, come dimostrarono le dimissioni di 7 consiglieri su un totale di 11, perché non venivano consultati. Ma dopo la sua deposizione, tutte le critiche interne al movimento scomparvero. Quando un’organizzazione o un movimento si sente attaccato e sotto assedio, tende a serrare i ranghi e così è successo anche con i Fratelli Musulmani, ove tendono a prevalere le posizioni più intransigenti.
Oggigiorno la società e la politica egiziana è fortemente polarizzata, divisa tra il ruolo dei Fratelli Musulmani e quello dei militari. In questa situazione di grande fluidità e complessità, la Turchia di Erdogan ha adottato una posizione categorica, escludendo ogni tipo di mediazione o compromesso. Questo aumenta la polarizzazione. Ora si è verificata una grave escalation, con la recente richiesta egiziana all’ambasciatore turco di abbandonare il paese. Devo dire che lo stesso Ministro degli esteri mi ha precisato l’Egitto non aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Turchia, ma solo deciso di ridurre il livello a quello di incaricato d’affari. Ma certo si tratta di un pesante segno di deterioramento delle relazioni.
Il punto è che la Turchia ora sembra essere un paese isolato perché anche i paesi del Golfo hanno assunto la medesima posizione egiziana, qualificando i Fratelli musulmani come un’organizzazione terroristica.
Quanto alle relazioni tra Turchia e Iran, appare che i due paesi abbiamo una doppia relazione. Se si guarda alla Siria, sono contrapposti, ma riguardo all’aspetto economico ci sono stati recentemente importanti accordi. La situazione appare un po’ schizofrenica.
Questa dualità e contraddittorietà nella politica estera riflette visione differenti tra il Primo ministro e il ministro degli affari esteri?
Questo è sicuramente un quesito interessante. La Turchia comunque non può tenere aperte tutte le porte, prima o poi dovrà decidere. La questione essenziale è che la dottrina di Davutoğlu, il Ministro degli esteri turco, “zero problemi con i vicini” può dirsi fallita.
La Turchia ora viene visto come un paese assediato, dopo la rivolta di Taksim, dopo gli episodi di corruzione, la violazione dei diritti umani. Erdogan potrebbe perdere legittimità e il controllo. Io mi sento molto simpatetico con ciò che sta avvenendo in Turchia e per le sfide che stanno affrontando. La Turchia è sicuramente uno dei paesi pilota della regione. Quello che deciderà e farà non sarà importante solo per il paese e i suoi cittadini, ma avrà ripercussioni su tutta la l’area.
NOTE SULL'AUTORE
Janiki Cingoli
Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.
Leggi tutti gli EDITORIALI