L’Editoriale

Israele, le divisioni del centro-sinistra favoriscono Netanyahu

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:18 gennaio 2013

Israele. A pochi giorni dalle elezioni, le tendenze vanno consolidandosi. Il blocco di centro-destra viene dato, nell’ultimo sondaggio di Haaretz, a 63 seggi, (su un totale di 120 della Knesset), mentre il centro-sinistra è dato in ripresa a 57. La forbice, dunque, pare restringersi, anche se altri sondaggi danno alla destra un margine di vantaggio più alto. All’interno dei due blocchi, i partiti maggiori si presentano molto distanziati: Likud-Beytenu, il blocco formato dal Likud di Netanyahu e da Yisra’el Beytenu, il partito del Ministro degli Esteri Lieberman, viene dato a 32 -34 seggi (con una forte caduta rispetto ai 42 detenuti assieme nell’ultima legislatura), mentre il Labour, diretto da Shelly Yachimowich, oscilla tra 17 e 18 seggi. La decisione di Netanyahu e Lieberman di confluire in una sola lista era stata dettata probabilmente dalla volontà di ottenere il risultato più forte, in modo da garantirsi l’incarico di formare il governo da parte del Presidente Shimon Peres, ma la flessione, pur tradizionale in questi tentativi di  fusione, è andata al di là delle previsioni.

Un ostacolo imprevisto Netanyahu se lo è trovato di fronte negli ultimi giorni, da parte del Presidente USA. Obama aveva sostenuto le posizioni di Israele nei giorni della crisi a Gaza, confermando anche al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il suo diritto all’autodifesa dai razzi provenienti dalla Striscia, anche se poi aveva agito di concerto con il Presidente Egiziano Morsi, per bloccare la spirale militare e fermare le armi.

Tanto più il Presidente americano si deve essere sentito insultato, dopo l’annuncio del varo, da parte del Governo israeliano, di un piano per costruire oltre 3.000 appartamenti a Gerusalemme Est, nella contestata area E1, come risposta al riconoscimento a schiacciante maggioranza, da parte della Assemblea Generale dell’ONU, della Palestina come “Stato Osservatore non Membro”.  Obama, che anche in quella occasione aveva appoggiato Israele, restando isolato, si è sentito tradito, e ha reagito rilasciando a Jeffrey Goldberg di Bloomberg delle dichiarazioni informali, in cui si afferma che Israele non sa dove sta andando e non sa quali sono i suoi più veri interessi, e che così è destinato ad un isolamento sempre più forte sia a livello regionale che a livello internazionale.

Un attacco senza precedenti, a pochi giorni dal voto, che probabilmente ha voluto anche rendere la pariglia per il sostegno che il leader israeliano aveva improvvidamente dato al candidato repubblicano sconfitto, Mitt Romney.

Ma i due leader di Likud Beytenu hanno anche sottovalutato la concorrenza di Naftali Bennet, leader del Partito HaBayit HaYehudi (The Jewish Home), erede del vecchio Partito Nazionale Religioso. Bennet, fino al gennaio 2012 Direttore Generale dello Yesha Council, il coordinamento dei coloni israeliani, si è contraddistinto per le sue drastiche posizioni sul conflitto israelo-palestinese, proponendo di annettere a Israele tutta l’Area C, pari al 62% della Cisgiordania, affidare Gaza all’Egitto e confinare l’Autorità Palestinese nella parte restante, il 38% della Cisgiordania, sotto il controllo dell’esercito israeliano. Queste posizioni hanno fatto presa, facendo di Bennet una star di queste elezioni, tanto che nei sondaggi il Partito era arrivato a ottenere 16 seggi, mentre ora, anche per l’insistito richiamo di Netanyahu al “voto utile”, è scivolato a 13-14.

Un discorso a parte, nel blocco di destra, è il Partito religioso sefardita Shas, alla cui testa, dopo aver scontato una condanna a tre anni per corruzione, da cui è stato rilasciato in anticipo per buona condotta, è tornato Aryeh Deri. Le previsioni gli danno 11-12 seggi.

Deri è stato al governo anche con la sinistra ai tempi di Rabin, e si era astenuto sugli accordi di Oslo.  I partiti di destra guardano con qualche sospetto a questa formazione, che viene descritto anche per motivi di concorrenza elettorale come un alleato poco affidabile. D’altronde, Shas deve reggere la concorrenza di Yesh Atid, il partito fondato lo scorso anno da Yair Lapid, notissimo e popolare anchorman televisivo, dalle posizioni rigorosamente laiciste, che fa una pregiudiziale della richiesta di richiamare sotto le armi o al Servizio Civile sostitutivo tutti i giovani religiosi delle Yeshivot (le scuole talmudiche), che fino ad ora, in base alla legge Tal, oramai abolita dalla Corte Suprema, ne erano stati esentati. Gli vengono attribuiti 12 seggi.

Quanto a Tzipi Livni (già leader di Kadima, piombato ora nelle previsioni da 28 a 2 seggi), il suo Partito, HaTnuah (The Movement), pare essere scivolato negli ultimi giorni, attestandosi sui 7-8 seggi, ed i suoi tentativi di riportare al centro dl confronto i temi legati al processo di pace paiono essere rimasti infruttuosi.

Qualche parola, infine, sui Partiti di centro sinistra: se si fossero presentati insieme, superando le rivalità e le pregiudiziali, avrebbero potuto aspirare a 35-40 seggi, e quindi contendere il primato di Netanyahu. Ma ogni tentativo d’accordo è risultato vano, con Lapid che chiedeva di dichiarare fin d’ora disponibilità a entrare nel governo Netanyahu, dandone per scontata la vittoria, la Livni che non lo escludeva ma si riservava di verificare i risultati elettorali (anche se ora pare volersi imbarcare anche lei), e la Yachimowich che a nome dei laburisti dichiarava di voler restare comunque all’opposizione. Una confusione, di cui pare inopinatamente destinato ad avvantaggiarsi lo storico partito della sinistra sionista, il Meretz, che secondo le previsioni dovrebbe raddoppiare i suoi seggi da 3 a 6, mentre i partiti arabi restano sostanzialmente stabili.

Concludendo, l’ipotesi che viene data come più probabile è un Governo di unità nazionale, che inglobi almeno alcuni dei partiti centristi. Difficile, ma in Israele “mai dire mai”.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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