L’Editoriale

Egitto. Apprendisti stregoni e sepolcri imbiancati

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:19 agosto 2013

I giorni terribili che l’Egitto sta vivendo, con le forze di polizia che sparano sui Fratelli Musulmani e i morti che si contano a centinaia se non a migliaia, fanno venire alla mente alcune amare considerazioni sui protagonisti dello scontro, che hanno contribuito a innescare questa situazione senza poi riuscire a controllarne le conseguenze, come l’apprendista stregone di disneyana memoria.

Tra di questi, in primo piano vi è sicuramente Mohamed El Baradei, il Premio Nobel coordinatore del Fronte di Salvezza Nazionale, la coalizione dei diversi gruppi di orientamento laico e democratico che si opponevano al deposto presidente Morsi. Incapaci di ottenere le sue dimissioni attraverso la lotta politica e le manifestazioni di massa, non hanno esitato a rivolgersi all’esercito perché intervenisse e risolvesse il problema. Faceva un certo effetto, il giorno del colpo militare, vedere El Baradei partecipare alla manifestazione che celebrava l’intervento.

Probabilmente, pensava di riuscire a imbrigliare la situazione, controllando il successivo corso degli eventi. Ma si illudeva. I tentativi di mediazione avanzati dal Grande Imam dell’Università di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb si scontravano con le opposte intransigenze dei Fratelli Musulmani e dei militari, senza riuscire a impedire il precipitare della situazione.

Quanto alla Chiesa Copta, il suo coinvolgimento nel golpe ha portato all’attacco di decine di chiese in tutto il paese, approfondendo il solco interconfessionale che già preesisteva.

Le dimissioni da Vicepresidente annunciate da El Baradei il 14 agosto non sono perciò che il malinconico epilogo di un tentativo velleitario e fallimentare di quell’area laica e democratica, che pur di sloggiare i Fratelli Musulmani dal potere non ha esitato a vendere l’anima al diavolo.

Quanto all’esercito, e al suo nuovo uomo forte, Abdel Fattah el-Sisi, Ministro della Difesa e capo delle Forze armate, ora vice-presidente del paese, è probabile che le loro illusioni di un rapido ripristino dell’ordine pubblico siano da ritenersi illusorie.

Le forze armate hanno ininterrottamente governato il paese a partire dalla rivoluzione dei giovani ufficiali del ’52, e fino all’elezione di Morsi, nel giugno 2012, e considerano naturale essere al potere. Solo l’alleanza tra il movimento di opposizione democratica e i Fratelli musulmani ha potuto indurli a mollare la presa.

Il compromesso raggiunto da Morsi con i nuovi “giovani ufficiali” guidati da el-Sisi, che portò alla deposizione del Maresciallo Tantawi e al consolidamento del potere di Morsi, nell’agosto 2012, sancì un nuovo equilibrio: Morsi si sottraeva al controllo dei militari, a cui però veniva garantita la conservazione di quella larga area di potere economico, sociale e di privilegio cui erano assuefatti. L’errore di Morsi è stato quello di considerare il compromesso raggiunto come consolidato e definitivo, mentre per l’esercito esso era un punto d’equilibrio da sottoporre a verifica e condizionato.

La voracità di potere di Morsi e la conseguente spaccatura tra Fratelli Musulmani e opposizione laica aprivano un varco e determinavano un vuoto, che avrebbero rappresentato un’irresistibile attrazione fatale per l’esercito.

Ma questo dovrà fare i conti con due gravi incognite: la capacità di resistenza della Fratellanza, che si è già manifestata in questi giorni e che può contare sull’eco che la repressione ha su tutti i media mondiali. I Fratelli Musulmani hanno già dimostrato di essere in grado di reggere lunghi anni di clandestinità, ed hanno utilizzato il pur breve periodo di potere per consolidare i legami di massa con la popolazione. Ed ora che non hanno più su di sé l’onere del governo, possono sfruttare a fondo la loro condizione di vittime in nome della fede. Le forze dell’ordine egiziane non sono attrezzate a controllare manifestazioni di massa utilizzando metodologie adeguate, che non siano il puro e bruto ricorso alle armi. E l’esercito è da sempre riluttante ad un intervento in prima persona.

L’altro aspetto è la crescente incontrollabilità del Sinai, ove alcune migliaia di Jihadisti legati a Al Qaeda, appoggiati alle tribù di beduini da sempre scontenti e insofferenti del potere centrale, conducono oramai una vera e propria guerra di logoramento con continui sanguinosi attacchi contro le forze del governo e contro il gasdotto che rifornisce Israele, cercando di creare nella zona un’ennesima zona franca.

Quanto agli Stati Uniti, il meno che si possa dire è che hanno sbagliato tutti i loro calcoli. Dopo aver cercato di fare di Morsi un partner preferenziale, nel corso della crisi di Gaza con Israele nel novembre 2012, essi se ne sono distanziati sempre più, cercando di favorire un compromesso tra il presidente e l’opposizione laica.

Al momento dell’intervento dell’esercito, hanno evitato di chiamarlo un golpe, per sfuggire alla legislazione americana che vieta di dare finanziamenti a governi scaturiti da un colpo di stato. Nelle settimane scorse, il Segretario di Stato John Kerry è arrivato a definire l’iniziativa come un intervento volto a ripristinare la democrazia nel paese. Ma dopo i massacri dei giorni scorsi, non è potuta mancare la deplorazione di quanto accaduto, e il presidente Obama ha ordinato la sospensione delle esercitazioni congiunte annuali programmate da lungo tempo, pur senza arrivare a rimettere in discussione gli aiuti militari all’Egitto, che ammontano a 1,5 miliardi di dollari all’anno. Qui, invece di apprendisti stregoni, si potrebbe forse parlare di sepolcri imbiancati.

Questa analisi è stata pubblicata sull’Huffington Post.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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