L’Editoriale

Gaza. La strategia della tensione

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 16 marzo 2012

Malgrado le cifre dello scontro dei giorni scorsi – 26 palestinesi uccisi, oltre duecento missili lanciati contro le aree meridionali israeliane – la tregua è stata raggiunta. Non sembra che si sia alla vigilia di una nuova operazione di Israele verso la Striscia. Possono essere individuate molte cause per l’escalation dell’ultima settimana: l’uccisione ad opera dell’aviazione israeliana di Zuhair al Qaissi, uno dei leader dei “Comitati popolari” a Gaza; lo scontro in atto dentro Hamas, dopo l’accordo raggiunto a Doha, nel febbraio scorso, tra il presidente dell’ANP, Abu Mazen, ed il leader di Hamas, Khaled Meshaal, per il superamento della frattura interpalestinese.
Alcuni dei più importanti leader di Gaza, come il capo del governo locale, Ismail Haniyeh e Mahmoud Zahhar, sono molto scontenti ed hanno espresso pubblicamente il loro disaccordo, nel merito e per non essere stati consultati. È quindi probabile che anche le fazioni legate all’ala militare abbiano voluto aggiungere la loro voce, per mandare un segnale su quanto sarà difficile riportare “legge e ordine” nella Striscia, se le trattative dovessero andare a buon fine. D’altronde, questa componente che si oppone a Meshaal ha rafforzato i contatti con l’Iran, che in questi giorni è sottoposto alla crescente pressione di Israele e degli USA. È probabile quindi che Teheran, che ha abbondantemente rifornito di razzi e missili di più lunga gittata i diversi gruppi militari locali, non si sia dispiaciuta troppo di questa nuova prova di forza, che ha distolto in parte l’attenzione del mondo, troppo concentrata sui programmi nucleari di Teheran.

Infine, un ruolo non secondario lo gioca certamente lo stallo totale in cui versa il processo negoziale israelo-palestinese. Anche l’ultimo tentativo del monarca giordano di riallacciare il dialogo, sia pure ad un basso livello, si è dimostrato inutile. La leadership dell’ANP si trova di fronte ad un lungo periodo di vuoto diplomatico, che durerà almeno fino alla seconda metà del 2013: le elezioni presidenziali statunitensi impediranno infatti a Obama di riprendere in mano quel dossier così scottante – e pericoloso dal punto di vista elettorale – dopo che tutti i suoi precedenti tentativi, talora maldestri, sono falliti. L’attenzione è ora concentrata sulla sfida iraniana, ed il confronto USA-Israele si gioca su quel versante: non è un caso che a tale tema sia stato interamente dedicato il recente incontro tra Obama e Netanyahu, mentre il conflitto israelo-palestinese non è stato neanche menzionato.

La stessa crisi della Siria – ove, oltre all’insurrezione di una parte della popolazione, è in atto uno scontro tra l’arco sciita che fa capo all’Iran e l’arco sunnita, guidato dalla Fratellanza Musulmana – contribuisce a marginalizzare la questione palestinese, che si trova stretta tra questi diversi elementi di crisi. In questo contesto, in cui la scelta diplomatica portata avanti dalla leadership che si riconosce in Al Fatah e nell’ANP non riesce a trovare alcuno sbocco, è probabile che le componenti più militariste a Gaza pensino che è venuto il momento di rilanciare la sfida.
L’alto numero di razzi e missili lanciati è stato anche reso necessario, dal punto di vista di tali gruppi, per riuscire a superare almeno parzialmente il muro difensivo del nuovo sistema antimissilistico “Iron Dome”, dispiegato nel Sud intorno alle maggiori città israeliane. Il funzionamento di tale sistema rappresenta un importante elemento di novità, nella bilancia strategica delle forze in campo, ed ha consentito di intercettare la maggior parte dei missili a medio e corto raggio scagliato in questi giorni verso l’area.

Ciò può creare ovviamente un falso senso di impunità nella leadership e nella popolazione israeliane, ma d’altra parte rende meno incalzante la pressione per arrivare ad operazioni di terra a vasto raggio, come quella avviata alla fine 2008.

D’altra parte, il governo Netanyahu non ha alcun interesse in una escalation contro la Striscia, che concentrerebbe nuovamente l’attenzione del mondo sulla questione palestinese, riportando nell’ombra il programma nucleare iraniano. L’esecutivo israeliano gode di un livello di consenso talmente elevato nell’opinione pubblica, che non ha alcuna esigenza di mobilitare la popolazione intorno ad una opzione militare contro Gaza; semmai questo si renderà necessario nei confronti dell’Iran. Quello che gli israeliani vogliono è che cessino razzi e missili: i bombardamenti aerei, che ora sono divenuti più mirati e efficaci, si propongono solo questo.

Ma anche Hamas non vuole andare allo scontro, ora che è assorbito dal problema della successione a Meshaal, che ha annunciato di non voler ripresentare la sua candidatura alle prossime elezioni interne al movimento. Il movimento islamico non vuole vanificare i risultati della relativa normalizzazione economica a Gaza, ora che il blocco delle frontiere si è almeno parzialmente dissolto sul versante egiziano, ed anche sul versante israeliano si è fortemente attenuato.

Dal Cairo si fa inoltre sempre più forte l’iniziativa della giunta militare e dei Fratelli Musulmani, attenti a stabilizzare il loro nuovo ruolo di governo, che chiedono di evitare scelte avventuriste e premono per una gestione moderata della situazione nella Striscia.

I mediatori egiziani si sono quindi impegnati full time. La tregua tra le parti, raggiunta domenica notte, non dovrebbe tardare molto a diventare effettiva. Ma la fiammata di questi giorni dimostra quanto alta resti la tensione, e quanto rischioso sia questo vuoto in cui è sprofondato il processo di pace.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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