L’Editoriale

Libano, l’ora dei guastatori

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 6 agosto 2010

Non è certo casuale, la coincidenza tra i ripetuti incidenti alle frontiere al nord e al sud di Israele. Sono molti i guastatori al lavoro, e diversi gli interessi in campo. La serie degli attacchi, comunque, è impressionante: si è cominciato con la ripresa dei lanci di razzi Qassam sull’area di Sderot, alla frontiera con Gaza; poi vi è stato il razzo Katyusha su Ashkelon; poi i razzi su Eilat e anche Aqaba, in Giordania, probabilmente provenienti dal Sinai egiziano; infine il grave scontro alla frontiera libanese.
Tutto ciò avviene mentre si profila una prossima ripresa del negoziato diretto israelo-palestinese, che pare oramai disincagliato per la pressione congiunta degli Usa e del fronte arabo moderato, in prima fila Giordania e Egitto: re Abdallah II di Giordania e Mubarak non hanno esitato a incontrare Netanyahu, rompendo un lungo isolamento, e hanno giocato un ruolo primario nella riunione del Comitato di seguito della Lega Araba, che ha dato luce verde ai negoziati diretti, malgrado la resistenza del presidente palestinese Mahmud Abbas: ed Egitto e Giordania sono stati teatro, o bersaglio, di uno dei lanci di questi giorni.
Per quanto riguarda Hamas, è probabile che l’organizzazione islamica non sia interessata a una ripresa in grande stile dello scontro con lo Stato ebraico, a un anno e mezzo dalla guerra di Gaza: essa ha appena conseguito un importante risultato, con la sostanziale attenuazione del blocco economico alle frontiere di Gaza, ottenuto dopo l’attacco israeliano alla flottiglia pacifista guidata dalla nave turca Marmara, e non vuole certo inficiare il suo nuovo status internazionale, fortemente rafforzato in seguito a tali avvenimenti.
Ma certo la ripresa del negoziato bilaterale israelo-palestinese rischia di marginalizzare nuovamente Hamas, che non a caso ha violentemente condannato la decisione pan-araba e ha dichiarato di non sentirsi in alcun modo vincolato al risultato di tali trattative: esso teme che si avvicini il momento di fare i conti con la secessione in atto nella Striscia, o che aumenti ancora di più la pressione egiziana, appoggiata dai sauditi, per raggiungere un nuovo accordo interpalestinese: qualche razzo, magari lanciato da oscuri gruppi di militanti, può servire a ricordare a tutti che non si può fare a meno di confrontarsi con la nuova realtà in atto a Gaza.
Stesso discorso vale per la Siria, che negli ultimi tempi si è distinta per il rifornimento massiccio e altamente sofisticato di armamenti a Hezbollah, la milizia sciita libanese, che oramai dispone di missili in grado di colpire le maggiori città israeliane: le ripetute aperture negoziali di Bashar Assad sono state lasciate cadere nel vuoto, da un Netanyahu che non pare pronto ad aprire un canale diplomatico con la Siria mentre già deve far fronte a enormi tensioni interne rispetto a quello palestinese. Il premier siriano probabilmente ha voluto ricordare a tutti il vecchio detto, che in Medio Oriente non si può fare la pace senza l’Egitto ma non si può fare la pace senza la Siria.
Non è certo un caso che il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, nelle ultime settimane abbia rilasciato ancora una volta dichiarazioni molto determinate sulla esigenza di rilanciare i contatti con Damasco, definendo di importanza strategica un accordo con la Siria per le sue conseguenze in termini di stabilizzazione regionale e di riallineamento dello stesso sistema di alleanze, anche rispetto all’Iran.
La questione, probabilmente, non è tanto di avviare un negoziato parallelo e simultaneo, ma di fornire garanzie sui tempi e sui possibili esiti dello stesso, una volta incardinato quello con l’Autorità palestinese.
In Libano, d’altronde, Hezbollah ha specifiche motivazioni per attivarsi: le indiscrezioni sull’esito dell’inchiesta internazionale sull’assassinio Hariri parlano di un probabile coinvolgimento di suoi alti esponenti, e l’organizzazione sciita non vuole certo finire sul banco degli accusati, ed è interessata a ogni diversivo che consenta una riunificazione della opinione pubblica in funzione anti israeliana. Va sottolineato tuttavia come protagoniste del recente scontro alla frontiera non siano state le sue milizie, ma relementi dell’esercito regolare libanese, che in molti suoi reparti è sempre più infiltrato e influenzato da Hezbollah.
Che la tensione interna al paese dei Cedri sia davvero alta, è stato testimoniato anche dalla recente visita congiunta a Beirut del re saudita Abdullah e del presidente siriano Bashar Assad, che ha voluto rappresentare un fermo monito comune alle diverse forze libanesi contro ogni tentativo di ritorno a scontri interetnici e alla guerra civile.
Infine, sul fuoco soffia l’Iran, che scalpita di fronte all’annuncio di nuove e ancora più stringenti sanzioni internazionali, ed è alla ricerca di nuovi strumenti di propaganda, da utilizzare anche in chiave interna, dove la situazione appare non del tutto consolidata come testimoniano le voci su un possibile attentato ad Ahmadinejad.
Di fronte a tutti questi guastatori, pare comunque essenziale legare il negoziato bilaterale israelo-palestinese, il cui decollo appare oramai imminente, a un forte ancoraggio regionale, quale la stessa Lega Araba è in grado di fornire: offrendo altresì un approccio inclusivo e non esclusivo rispetto all’orizzonte di pace che si vuole raggiungere, in modo che gli altri attori (a cominciare dalla Siria, ma senza escludere Hamas) non si sentano pregiudizialmente rifiutati e spinti a fare danni per segnalare la loro esistenza.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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