L’Editoriale

Dalla Galilea al Sud Tirolo

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 26 luglio 2010

Capita raramente che si elabori una idea, apparentemente bizzarra, e che poi alla prova dei fatti quella idea si riveli piena di sostanza e suscettibile di sviluppi estremamente interessanti.

Immaginare che ci fosse un qualche nesso tra i cittadini tedeschi dell’Alto Adige, dal reddito più alto d’Europa e cresciuti mangiando spesso e volentieri maiale cucinato in mille maniere, e i palestinesi israeliani di Nazareth o di Haifa, certo non ugualmente ricchi e in prevalenza musulmani, richiede sicuramente una grande fantasia. Ma alla prova dei fatti il problema della identità culturale ed etnica ha accomunato l’esperienza di queste due minoranze, producendo uno di quei felici corto circuiti che la storia a volte ci propina.

In questi giorni arriva a Bolzano una missione di circa 30 rappresentanti israeliani, sia arabi che ebrei, per studiare l’esperienza delle minoranze tedesca e ladina nel Sud Tirolo, nel loro rapporto con lo Stato italiano, dal punto di vista storico, politico e sociale.

La delegazione, ospitata dalla Provincia Autonoma di Bolzano, è promossa dal CIPMO – Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente.

Una delegazione analoga, composta da studiosi, era già venuta a Bolzano nel maggio 2008, e si era rivelata un successo, dato che tutti i partecipanti avevano rilevato nella esperienza del Sud Tirolo elementi di grandissimo interesse. Quella attuale costituisce un ulteriore salto di qualità, perché riunisce rappresentanti delle più prestigiose ONG israeliane, arabe e ebraiche, che si occupano della minoranza arabo-israeliana e della convivenza tra arabi e ebrei nello Stato di Israele.

Lo scopo della missione è semplice: mettere a confronto la situazione della minoranza arabo-palestinese in Israele con quella minoranza tedesca nella Provincia di Bolzano.

Una minoranza, quest’ultima, che non solo gode di uguali diritti come cittadini italiani, ma anche di specifici diritti aggiuntivi, “positivi” è stato detto, in quanto minoranza e a salvaguardia della sua identità, secondo quanto sancito dall’articolo 6 della stessa Costituzione Italiana. Diritti che prevedono   un’ampia autonomia finanziaria, la proporzione nel pubblico impiego, l’uso paritario delle due lingue, la gestione delle scuole. Una concezione, quella italiana, che non vede le minoranze come un pericolo per l’unita’ dello stato, da controllare o sopportare, ma come una realtà da riconoscere e proteggere, facendone così un fattore di arricchimento della società, arrivando per questa via a rafforzare la stessa unità del paese.

La minoranza arabo-israeliana, al contrario, si trova di fronte a gravi problemi, sia in termini di uguaglianza di diritti, che di identità complessiva, in uno Stato che si definisce ebraico e vuole essere riconosciuto come tale dagli Stati arabi e a livello internazionale.

La popolazione arabo-palestinese costituisce il 20% dello Stato di Israele, ed è a tutti gli effetti una minoranza etnica, parte di una popolazione originaria preesistente alla stessa nascita dello Stato. Ha teoricamente uguali diritti rispetto agli altri cittadini, anche se permangono gravi ineguaglianze in relazione ai finanziamenti di cui fruiscono i municipi arabi, agli accessi ai più alti livelli dell’istruzione, alle possibilità di lavoro e di carriera. Ma non gode di alcuna forma di riconoscimento collettivo, in quanto minoranza.

Essa è oggi sottoposta ad una forte pressione, da parte di alcuni partiti che formano la attuale maggioranza di governo: Yisrael Beiteinu, il partito della ultradestra laica diretto dal Ministro degli Esteri Lieberman, che ha ottenuto un sorprendente successo alle ultime elezioni, ne ha fatto uno dei temi centrali della sua piattaforma, con lo slogan “No citizenship without loyalty”, niente cittadinanza senza lealtà. Esso reclama una sorta di giuramento di fedeltà allo Stato ebraico da parte di questi cittadini che ebrei non sono e propone anche uno scambio tra i territori israeliani più densamente popolati dagli arabi, come la Galilea e il cosiddetto Triangolo, con le aree della Cisgiordania ove sono stati costruiti i maggiori insediamenti ebraici. Questo anche per garantire il carattere ebraico di Israele, risolvendo così la sfida demografica che il più alto tasso di natalità della popolazione araba pone.

Ma come si può chiedere agli arabi israeliani di essere leali ad uno Stato ebraico che sostanzialmente misconosce la loro stessa identità? Tutto ciò in realtà rende ancora più urgente una questione ineludibile, e cioè proprio quello del riconoscimento, dentro Israele, dello status collettivo della minoranza araba, e della sua tutela con specifiche azioni positive.

Vi è anche un altro parallelo possibile con la situazione del Sud Tirolo: quello tra la popolazione ebraica della Galilea e del Triangolo, e la popolazione di origine italiana in Provincia di Bolzano, che rappresenta il 20% del totale degli abitanti. Una minoranza che è invece schiacciante maggioranza a livello nazionale, ove invece i tedeschi rappresentano lo 0,5% della popolazione totale. In Galilea la situazione è differente, perché le due popolazioni sono più o meno numericamente alla pari, ma a livello nazionale i palestinesi rappresentano il 20%, e quindi il problema del loro riconoscimento come minoranza nazionale pone problemi assai più rilevanti. Ciò tuttavia rafforza e non indebolisce l’indifferibile esigenza di tale riconoscimento, perché non si può marginalizzare una componente così alta della popolazione, se non a costo di innescare processi esplosivi, con rischi enormi per la tenuta e la stessa sopravvivenza del paese.

Un altro spunto di riflessione è la situazione della piccola minoranza ladina di questa provincia, che conta 30.000 abitanti rispetto ai 300.000 tedeschi: la tutela si estende anche a loro, analogamente a quanto potrebbe essere fatto in Israele per i drusi o i beduini.

Il riconoscimento di tali diritti alla minoranza tedesca è stato concordato, dopo la Seconda guerra mondiale, con l’Austria, che di tale minoranza costituisce storicamente nazione di riferimento. A questo proposito, un ulteriore elemento rilevante è l’avvenuto rilascio all’Italia, da parte dell’Austria, della “Clausola liberatoria”, che riconosceva l’adempimento di tutte le intese concordate, in base al Trattato De Gasperi-Gruber del 1946, e quindi la cessazione di ogni controversia: un precedente che può essere significativo riguardo alla richiesta israeliana di dichiarazione di “End of Claims” (fine delle rivendicazioni), che dovrebbe essere collegata al possibile accordo di pace israelo-palestinese.

Un altro punto interessante, da un punto di vista storico, è l’introduzione nella Costituzione austriaca del divieto, imposto dalle potenze vincitrici, di ogni rivendicazione di irredentismo, di richiesta cioè di restituzione dei territori ex austriaci perduti alla fine della guerra: anche questo un elemento che potrebbe essere utilizzato nella stesura di un futuro accordo di pace tra israeliani e palestinesi.

Va detto altresì che l’ingresso dell’Austria nella Unione Europea nel 1995 e la relativa libera circolazione tra gli Stati membri hanno fortemente contribuito a stemperare le tensioni riguardanti i confini nazionali nel più ampio contesto.

Per concludere, se Israele vuole conservare il suo carattere di Stato ebraico, l’unica via realistica pare quella di riconoscere e tutelare la sua minoranza araba in quanto tale, e insieme di procedere speditamente sulla via della pace, accettando la creazione di uno Stato palestinese al suo fianco.  Su un piano più vasto, infatti, gli arabi israeliani, o per meglio dire i palestinesi israeliani come oramai scelgono di chiamarsi, sono e si sentono parte del popolo palestinese, e della sua storia tormentata.

Se il problema della loro esistenza, in uno Stato che si definisce ebraico,  passa per il loro riconoscimento come minoranza etnica, tutelata da diritti collettivi, la loro aspirazione nazionale in quanto popolo può essere soddisfatta solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese, al fianco di Israele, a cui tuttavia essi possano guardare: così come gli ebrei della diaspora possono essere cittadini leali dei loro paesi, e guardare a Israele come riferimento per le loro aspirazioni nazionali in quanto popolo. E d’altra parte sarebbe illusorio pensare di poter raggiungere una pace stabile, tra israeliani e palestinesi, ignorando o trascurando il nodo della minoranza arabo-israeliana.

Il suo riconoscimento e la sua tutela pare l’unica soluzione intermedia, l’unico “compromesso” percorribile, se si vogliono evitare improbabili tentativi di assimilazione forzosa o ancor più pericolose derive fondamentalistiche:  l’unica alternativa realistica alla trasformazione di Israele in uno Stato fondato sull’apartheid, o all’affermarsi della proposta di uno Stato israeliano di tutti i cittadini, privo di caratteristiche ebraiche, o di uno Stato unico binazionale su tutta la Palestina storica. Lo studio dell’esperienza del Sud Tirolo può dare un contributo importante in questa direzione.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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