L’Editoriale 

Surplace a Gaza

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 14 gennaio 2009

L’offensiva israeliana si trascina, continuando a espandere le zone sotto controllo nella cintura intorno a Gaza, e il numero delle vittime palestinesi sta oramai avvicinandosi a mille, di cui oltre la metà civili e circa un terzo donne e bambini. La decisione di avviare la terza fase, con l’occupazione del centro della città, non è stata attuata e pare ancora essere utilizzata come strumento di pressione su Hamas.

Dal canto suo l’organizzazione islamica continua i suoi lanci di razzi e missili, anche se questi sono andati riducendosi da ottanta a circa venti al giorno, testimonianza di una probabile iniziale penuria nei rifornimenti. Vi sono notizie di scontri anche sanguinosi, ma in generale i miliziani palestinesi hanno evitato lo scontro frontale, cercando di mantenere il più possibile integre le forze nel caso l’esercito israeliano decida di entrare nella città, che con il suo dedalo di vicoli e nascondigli offre un terreno molto più propizio alla resistenza.

Si può parlare quindi di un surplace armato e sanguinoso, in attesa che al Cairo si chiariscano i dati del possibile cessate il fuoco, e si risolvano i problemi lasciati sul tavolo della risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, adottata lo scorso 8 gennaio.

Sia Israele che Hamas hanno respinto questa risoluzione: per Israele, la questione fondamentale, oltre ovviamente alla fine del lancio dei missili contro le sue città di confine, è la questione del controllo sul traffico di armi alla frontiera egiziana, per impedire che Hamas possa riprende forza dopo la fine delle ostilità, come ha fatto Hezbollah in Libano. Per Hamas vi è la garanzia del ritiro israeliano da tutta la Striscia, e soprattutto la questione della riapertura dei valichi di confine, per non erodere ulteriormente la sua base di consenso nella popolazione civile, stremata dal lungo assedio di questi anni.
Per controllare il confine egiziano, tuttavia, è necessario dislocarvi una forza internazionale, ma dove? L’Egitto non la vuole sul suo territorio, perché questo lederebbe la sua sovranità. D’altra parte, Israele non ritiene sufficiente il controllo delle truppe del Cairo, dopo l’amara esperienza di questi anni. Potrebbe invece incorporare nel suo schieramento tecnici stranieri e attrezzature tecnologiche, ma questo non è ritenuto sufficiente da Israele, anche se resta probabilmente una soluzione sul tappeto.

Per converso, la dislocazione della forza internazionale sulla parte palestinese incontra l’ostilità di Hamas, che teme di veder messo in discussione il suo controllo sulla Striscia. In realtà, paiono essere emersi dissidi nel gruppo dirigente dell’organizzazione islamica, con Meshall, il leader che sta a Damasco, più duro, chiuso al cessate il fuoco se l’esercito israeliano non si ritira, e il premier Haniyeh, a Gaza, più aperto e possibilista, anche forse ad una presenza di truppe della Turchia (che mantiene rapporti ufficiali con l’organizzazione islamica) nella Striscia.

Stessa cosa per quanto riguarda l’apertura dei valichi: la risoluzione 1860 la prevede sulla base del vecchio accordo 2005, per monitorare i passaggi. Contemplava (oltre a telecamere israeliane manovrate a distanza) la presenza sui due lati del confine di soldati egiziani e di truppe della Autorità Nazionale Palestinese, fedeli ad Abu Mazen (che infatti si è detto d’accordo): ma Hamas non vuole accoglierli, dopo averli cacciati con il colpo militare del 2007. E d’altra parte non è realistico pensare che l’accordo lo si possa fare solo con Abu Mazen, ignorando l’organizzazione islamica che controlla il terreno.
La soluzione più realistica è un approccio che veda ai confini gli uomini della ANP, che così marcherebbe con il loro rientro un successo importante, ma una contestuale presenza, magari a qualche distanza, dei miliziani islamici.

D’altronde, la stessa risoluzione 1860, al punto 7, “incoraggia il compimento di passi tangibili nella direzione di una riconciliazione interna alla Palestina e in supporto dei tentativi di mediazione dell’Egitto e della Lega degli Stati Arabi”, e quindi si schiera a favore di un nuovo accordo tra Al Fatah e Hamas, che dovrebbe portare a un nuovo governo di unità nazionale. Un punto di enorme importanza (stranamente ignorato dalla stampa e dal dibattito politico italiano), che segna una svolta rispetto al problema, superando il vecchio approccio del Quartetto e delle sue tre condizioni, che erano state tra le cause essenziali del fallimento degli Accordi della Mecca.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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