L’Editoriale 

Se Nazareth guarda a Bolzano

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 26 maggio 2008

A fine maggio, 14 esponenti israeliani, ebrei e arabi, giungeranno a Bolzano per alcuni giorni, per studiare l’esperienza della minoranza tedesca (e di quella ladina) in Italia.
L’iniziativa è promossa dal Centro Italiano per la pace in Medio Oriente, in collaborazione con l’organizzazione israeliana Sikkuy, finanziata dalla Provincia di Bolzano e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano e supportata dalla Accademia Europea di Bolzano e dalla locale Lega Provinciale delle Cooperative. Essa si propone di approfondire alcuni specifici aspetti di tale realtà. Quella delle minoranze è infatti una questione di forte spessore e di grande attualità, che sta diventando centrale nella complessa situazione interna del paese.

Israele è uno Stato che si definisce ebraico, ma che ha al suo interno una minoranza araba che rappresenta il 20% della popolazione. Un problema acuitosi negli ultimi anni: il punto di crisi può essere individuato nella cruenta repressione delle manifestazioni dell’ottobre 2000, con l’esplodere della seconda intifada, quando 13 arabi israeliani vennero uccisi dal fuoco della polizia, facendo esplodere il crescente sentimento di angoscia, frustrazione e collettiva alienazione di quei cittadini rispetto allo Stato e alla maggioranza ebraica.
Da allora, le posizioni delle organizzazioni più rappresentative di questa minoranza hanno avuto una forte radicalizzazione, arrivando a chiedere il superamento della stessa concezione fondativa di Israele in quanto Stato ebraico ed auspicando la creazione di uno Stato di tutti i cittadini, su basi di piena uguaglianza, senza distinzioni religiose o etniche. Ma ciò porterebbe alla fine dell’unico Stato ebraico esistente, e questo può essere difficilmente accettato dalla maggioranza ebraica del paese. Parallelamente, quegli avvenimenti hanno provocato una crescente sfiducia e diffidenza da parte della maggioranza ebraica, portandone alcuni esponenti a richiedere di cedere aree dove esiste una significativa maggioranza araba al futuro Stato palestinese, in cambio delle aree della Cisgiordania ove sono stati costruiti i maggiori insediamenti ebraici.

Una soluzione intermedia potrebbe essere il franco riconoscimento di tale minoranza in quanto minoranza etnica, tutelata da diritti collettivi.
Il forte scontento dei palestinesi israeliani deriva infatti da un coacervo di fattori: ad essi, in quanto individui,  è riconosciuta in Israele una uguaglianza teorica, anche se nei fatti questa è lungi dall’essere assicurata. Ma non sono riconosciuti una identità e uno status collettivi, dotati di specifiche protezioni. Ciò è sicuramente una causa non secondaria nel rafforzamento, al loro interno, delle componenti più radicali.
La cosa più contraddittoria è che molti esponenti arabo-israeliani esitano a richiedere il riconoscimento in quanto minoranza nazionale, perché temono così di aumentare la diffidenza della maggioranza ebraica, e di danneggiare quindi la lotta l’uguaglianza.
La situazione ricorda, paradossalmente, quella degli ebrei all’epoca della Rivoluzione Francese: “tutti i diritti agli ebrei in quanto individui, nulla in quanto popolo”.

Proprio questo rende così interessante l’esperienza del Sud Tirolo – Alto Adige, che si colloca all’interno della tutela delle minoranze linguistiche, sancita dall’articolo 6 della Costituzione Italiana.
Una tutela che si sentì necessaria anche come reazione alle politiche praticate durante il precedente regime fascista, volta a opprimere e cancellare l’espressione di tali minoranze, impedendo fra l’altro l’uso della lingua e arrivando persino a praticare la modifica forzosa dei nomi delle persone e dei luoghi ed anche a forzare le minoranze a scegliere tra la completa assimilazione e l’emigrazione. Venne anche incoraggiata l’immigrazione massiccia di cittadini italiani per alterare la bilancia demografica nella regione.
La Costituzione italiana, garantendo protezione alle minoranze linguistiche, intende affermare che tali minoranze non costituiscono un fattore da tollerare, che comunque indeboliscono il tessuto unitario della nazione, ma al contrario costituiscono un fattore di arricchimento della società, da riconoscere e garantire.
Va inoltre considerato che il modello di autonomia e i diritti delle minoranze in Sud Tirolo sono stati sviluppati con un processo graduale, che ha fatto seguito al precedente periodo di forte sfiducia, oppressione e anche violenza ed ha potuto evolversi in uno dei più avanzati modelli esistenti al mondo.
Il suo approfondimento può quindi probabilmente essere di estrema utilità (senza naturalmente farne un modello da imitare a scatola chiusa) anche per la realtà israeliana.
Ai cittadini di lingua tedesca di quella regione (come a quelli di lingua ladina) vengono non solo garantiti uguali diritti in quanto cittadini italiani, ma anche specifici diritti aggiuntivi in quanto membri di quella minoranza: garanzie nell’uso della lingua, nella gestione delle scuole, nella proporzionalità nell’assunzione nel pubblico impiego, nella ripartizione e gestione dei finanziamenti, etc.
Va aggiunto che il successo della soluzione trovata per il problema altoatesino è dovuto però all’ampia autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria attribuita a livello dell’intera Regione Trentino Alto Adige, che è una Regione italiana a Statuto Speciale, autonomia che va a favore di tutta la popolazione indistintamente dall’appartenenza linguistica.

Naturalmente, l’autonomia riconosciuta alla Regione e alle sue due province – quella di Trento a maggioranza italiana e quella di Bolzano a maggioranza tedesca – è resa necessaria e possibile dalla concentrazione territoriale della popolazione tedesca, mentre la situazione israeliana è più differenziata, dato che la popolazione araba, pur prevalentemente concentrata in alcune aree, è tuttavia diffusa in tutto il paese.
La professoressa Ruth Lapidoth, della Università ebraica di Gerusalemme, che ha condotto studi approfonditi sulla esperienza altoatesina, sostiene tuttavia che l’autonomia può esercitarsi sia in un territorio definito, sia su una popolazione, sui membri di una certa collettività. Per quanto riguarda Israele, si potrebbe quindi, in base a questo approccio, ipotizzare un certo grado di autonomia per la Galilea e/o nel cosiddetto “Triangolo”, su basi territoriali, e uno più diffuso, ma meno forte, a  livello di popolazione, per tutti i componenti di quella minoranza (per esempio, in termini di uso della lingua araba, di assunzioni nel pubblico impiego e di accesso ai ruoli più alti, di accesso all’università etc.).
Va ricordato, infine, che negli anni ’60 si era manifestato in Alto Adige un forte movimento irredentistico, che si espresse anche attraverso atti terroristici e cariche esplosive poste sotto i tralicci elettrici: un movimento che poi si è sostanzialmente estinto non solo per le attività repressive di sicurezza e giudiziarie delle autorità italiane, ma perché ai problemi che si erano manifestati venne data, attraverso la attuazione del processo autonomistico, una positiva e adeguata risposta politica.
Un forte impulso al superamento delle tensioni del passato è venuto anche dal forte processo di integrazione nell’ambito della Unione Europea (cui appartengono sia l’Italia che l’Austria), che ha attenuato l’importanza dei confini, al tempo stesso garantendone il rispetto.

Vi sono altri due aspetti, più complessi e delicati, che riguardano il rapporto Austria – Alto Adige. Il primo è il divieto, contenuto nella Costituzione austriaca, per espressa volontà delle potenze vincitrici nella II guerra mondiale, di ogni forma di rivendicazione e di propaganda di irredentismo nei confronti dei territori ex – austriaci. Tale concetto, di fatto simile a quello di “fine delle rivendicazioni” potrebbe essere tenuto presente anche nel negoziato israelo-palestinese sul Final Status, sancendo da parte israeliana la rinuncia alla rivendicazione del Grande Israele, e da parte palestinese quella ad ogni territorio di Israele, anche se abitato da palestinesi.
L’altro aspetto è quello del droit de regard riconosciuto all’Austria, nell’accordo De Gasperi – Gruber, nei confronti della minoranza tedesco-italiana: con il rilascio della clausola liberatoria, prevista da quegli accordi, l’Austria fu chiamata a sancire l’attuazione degli impegni a garanzia di quella minoranza, e quindi la cessazione di ogni controversia.
Gli israeliani sono stati finora restii a inserire nel già così complesso negoziato anche il fattore degli arabi israeliani, ritenuti una questione esclusivamente di politica interna.
Tuttavia, il problema è venuto assumendo nell’ultimo anno una nuova dimensione internazionale. Ciò è stato provocato dalla stessa richiesta, avanzata da Israele dopo la Conferenza di Annapolis, di un riconoscimento, da parte palestinese ed araba, non solo di Israele in quanto Stato, ma anche in quanto Stato ebraico. Ciò ha immediatamente riproposto la questione del trattamento e dello status della minoranza araba, acutizzando i timori e le richieste delle sue organizzazioni più rappresentative.
D’altra parte, quando il Ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, afferma che la creazione di uno Stato palestinese può dare risposta anche alle esigenze di identità e di rappresentatività della minoranza araba israeliana, fa una affermazione importane, che va esattamente nella direzione di un riconoscimento di un legame etnico, politico e storico tra i palestinesi dei Territori e quelli dentro Israele, che non può essere ignorato o rimosso, se non si vogliono alimentare alla lunga la frustrazione e il fondamentalismo. E’ innegabile che i palestinesi israeliani e quelli del nascente Stato palestinese sono due metà di una mela che è stata spaccata e che non si può oggi riunificare, ma restano comunque parti di un popolo unico, come lo sono gli ebrei in Israele e quelli della Diaspora.
D’altronde, potrebbe forse essere utile chiudere tutti i possibili contenziosi in occasione del negoziato finale, per non ritrovarseli dopo irrisolti e alimentati dalle inevitabili tensioni che potrebbero risorgere.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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