L’Editoriale 

Olmert tra vecchio e nuovo

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 13 dicembre 2006

Le ripetute dichiarazioni di Olmert contengono molti accenti nuovi, frammisti a posizioni più tradizionali, ancorate al passato.
Il rilancio della proposta negoziale conferma l’abbandono del vecchio approccio, che prevedeva l’estensione del ritiro unilaterale da larga parte della Cisgiordania, dopo quello da Gaza.
Il conflitto libanese, e la continuazione degli attacchi da Gaza, hanno fatto crollare i presupposti di quell’impostazione, dimostrando che essa non era in grado di assicurare pace e sicurezza. D’altronde, quel fallimento va inquadrato nella più generale crisi dell’unilateralismo, come concepito dal Governo Bush, e affossato nel pantano irakeno.
Il Premier israeliano non poteva a lungo adagiarsi nello statu quo, perché non sono venute meno le ragioni demografiche e di sicurezza che indussero Sharon ad avanzare il suo piano di ritiro, nel 2003.
La proposta di Olmert, avanzata nella sua forma più articolata nel suo recente discorso in memoria di Ben Gurion, si rivolge a qualsiasi Governo palestinese che rispetti i principi del Quartetto, metta in atto la Road Map e porti al rilascio di Gilad Shalit. A queste condizioni, egli si impegna a incontrare Abu Mazen, per avviare un serio e genuino negoziato, che potrà giungere alla creazione di uno Stato palestinese indipendente e vitale, con continuità territoriale in Cisgiordania e Gaza, con piena sovranità e bordi definiti. In questo quadro, viene ribadita la disponibilità ad evacuare molti degli insediamenti precedentemente stabiliti nei territori palestinesi.
Viene anche ribadito l’impegno a liberare, dopo il rilascio di Shalit, un alto numero di prigionieri anche condannati a lunghe pene.
Vi sono poi una serie di atti intermedi per costruire la fiducia, quali la diminuzione dei blocchi stradali all’interno dei territori palestinesi, l’ampliamento degli accessi al valico con Gaza, per facilitare la libertà di movimento di uomini e merci, il rilascio delle tasse doganali palestinesi finora bloccate, e in prospettiva la creazione di zone industriali al confine per risolvere il problema occupazionale.
I palestinesi, per parte loro dovranno fermare la violenza e il terrorismo, riconoscere il diritto israeliano a vivere in pace e in sicurezza e rinunciare al Diritto al ritorno.
In questa posizione vi sono, accanto a rinnovate aperture, chiusure che assumono il sapore di uno sbarramento pregiudiziale, quale la rinuncia al Diritto al ritorno. E’ evidente che tale diritto non verrà realizzato, ma si possono trovare modalità pratiche di soluzione, come quelle avanzate dagli israeliani a Taba nel 2000, che diano un segnale di disponibilità a collaborare alla soluzione del problema, e non ledano la dignity dei palestinesi provocandone le reazioni ideologiche. Così dicasi per il richiamo alle tre condizioni del Quartetto (riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza, riconoscimento dei trattati pregressi), che rendono impraticabile la costruzione di qualsiasi Governo di Unità nazionale che includa Hamas.
In questo quadro, lo stesso incontro con Abu Mazen, sempre annunciato e sempre rinviato, si perde in un limbo indefinito, contribuendo ad indebolire sempre più il Presidente palestinese. D’altronde, di fatto gli israeliani trattano con Hamas da mesi, con la mediazione egiziana, sia sui prigionieri, sia sulla tregua, sia sullo stesso Governo di unità nazionale e sul possibile rientro in Palestina di Meshall.
Nelle posizioni di Olmert è d’altronde rilevante la nuova attenzione portata al Piano Arabo di pace del 2002, di cui, anche se non viene accettato in toto, viene sottolineata la disponibilità espressa all’unanimità da tutti gli Stati arabi al riconoscimento di Israele, qualora questo accetti la creazione di uno Stato palestinese. Un modello che potrebbe essere valido anche per il governo palestinese, superando il capestro delle condizioni del Quartetto.
Qualche considerazione, infine, sul quadro regionale, e sui possibili contatti con Siria e Iran. Su questo, il Premier israeliano, che pure ha le sue buone ragioni per diffidare di Ahmadinejad e dei suoi revival antisemitici, ed in sostanza preferisce il mantenimento del Golan alla pace con la Siria, appare ancorato ad un quadro regionale che non esiste più, e al cui superamento il rapporto Baker ha posto l’ultimo suggello. Il quadro nuovo, che viene emergendo, ed a cui la crisi libanese ha impresso una accelerazione determinante, pone allo Stato ebraico nuove sfide, a cui esso è ancora sostanzialmente impreparato.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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