L’Editoriale 

Gli incubi di Israele

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 13 luglio 2006

L’incubo peggiore di fronte a cui Israele si è trovato dopo il rapimento del soldato Gilad Shalit da parte di Hamas, al confine con Gaza, pare oggi realizzarsi con gli altri due soldati al confine con il Libano, ad opera di Hezbollah: una serie di rapimenti dei propri militari, su diversi fronti, con conseguenti richieste di rilascio di prigionieri.
Una situazione che e’ difficile fronteggiare in termini puramente militari, come hanno dovuto apprendere a proprie spese i militari USA in Libano, ed oggi in Iraq.
E’ difficile dire oggi se le due operazioni siano state in qualche modo coordinate: i legami tra Hamas e Hezbollah sono di lunga data, fin dalla espulsione dentro il confine libanese delle centinaia di attivisti di Hamas, attuata da Rabin all’inizio del 2003.
Fu quello il momento in cui i leader di Hamas, tra cui Rantisi, appresero dai cugini libanesi molte nuove tecniche di lotta, dall’uso dei martiri suicidi a quello dei rapimenti dei soldati nemici, alle nuove tecnologie piu’ sofisticate negli attentati terroristici.
La stessa presenza di Meshal a Damasco può aver contribuito al consolidamento di questi rapporti, nei lunghi anni del protettorato siriano sul Libano, ancora oggi non del tutto concluso.
La stessa risposta israeliana non è certo facile: si possono minacciare ritorsioni militari, richiamando il Governo di Beirut alle sue responsabilità, analogamente a quanto si sta facendo a Gaza. Ma gli israeliani sono probabilmente consapevoli che la loro libertà di movimento è molto più limitata che in Palestina, e che la Comunita’ internzionale non resterebbe passiva se Tsaal decidesse di bombardare ponti o centrali elettriche libanesi.
D’altronde, Israele non puo’ fare del rifiuto allo scambio di prigionieri una questione di principio: aveva liberato lo Sceicco Yassin, il leader di Hamas poi centrato con un missile anni dopo, in cambio del rilascio degli agenti implicati nel tentativo di avvelenemento di Meshal, in Giordania; e ha gia’ scambiato centinaia di prigionieri palestinesi con Hezbollah, negli anni passati, in cambio di un discusso uomo di affari israeliano e dei cadaveri di due soldati. Quei prigionieri il cui rilascio Sharon aveva negato ad Abu Mazen, allora Primo ministro, contribuendo in larga parte a determinarne le dimissioni.
Israele si trova quindi esposta contemporaneamente su due fronti, a Gaza e in Libano, e non ha molte carte in mano. Puo’ certamente prendere la via di una doppia escalation militare, e non è escluso che vi ricorra, anche per dare delle risposte all’angoscia della sua opinione pubblica. Ma non andrebbe lontano, e non è certo detto che questo possa contribuire a liberare i suoi soldati prigionieri, e non invece a determinarne la fine.
Pare essenziale che la Comunità internazionale non lasci sola Israele, in questo momento. Il senso di solitudine e di insicurezza può causare guai molto grossi. Si deve intervenire con decisione per il rilascio dei prigionieri, per la loro salvezza.
Ma è essenziale operare per il ripristino della tregua, in Palestina, affiancando l’iniziativa egiziana, e per disinnescare la tensione persistente nel Sud del Libano, per la zona contesa delle Fattorie di Sheba, che Israele non ha riconsegnato ritenedola siriana: ad esempio affidandola pro tempore al controllo dell’ONU.
Diviene sempre più evidente che lasciare la crisi mediorientale irrisolta, sperando di contenerla in un conflitto di bassa densità, appare un azzardo miope e pericoloso. La via dell’unilateralismo non può che rendere endemico il conflitto stesso, eternizzandolo. Ricominciare dalla fine, dai nodi irrisolti della contesa, (lo Stato palestinese, i confini, i rifugiati, gli insediamenti, Gerusalemme, l’acqua, il Golan siriano), appare l’unica scelta realistica, così come quella di non escludere Damasco dal tavolo negoziale, che la Siria è in grado di far saltare con la sua influenza sui diversi gruppi armati attivi nell’area.

 

Articolo pubblicato su Europa

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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