L’Editoriale 

Dalla crisi un nuovo equilibrio

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 19 luglio 2006

La proposta, avanzata da Blair, Prodi e Kofi Annan, e fatta propria dal G8, per lo schieramento di una forza di interposizione ONU lungo il confine con il Libano, con la creazione di una zona cuscinetto, appare di grande rilievo, ed è stata accolta non ostilmente da Israele.
Si tratta di un positivo superamento delle iniziali posizioni, assunte dalla Presidenza finlandese della UE, e dallo stesso Governo italiano, che avevano deplorato fortemente il carattere sproporzionato della reazione israeliana, facendo seguire la richiesta, abbastanza formale, di un rilascio dei soldati israeliani rapiti. Si puntava, in sostanza, su un rapido ritorno alla normalità precedente, già così precaria, che tuttavia era stata spazzata via dallo sviluppo della crisi.
Il doppio rapimento, prima a Gaza, poi al confine libanese, ha rotto questa tregua guerreggiata, facendola esplodere. Il tentativo di mediazione egiziano, volto a ottenere il rilascio del soldato rapito da Hamas, e successivamente quello, “indipendente”, di prigionieri palestinesi da Israele, che era stato già accettato dai due governi interessati, è stato bloccato dall’intervento a gamba tesa della Siria su Hamas, che ha suscitato la pubblica protesta di Mubarak. Contestualmente, e non per caso, si apriva il nuovo fronte libanese.
La Siria, seguendo un approccio di lunga data, si proponeva di bloccare la possibile ripresa del negoziato bilaterale israelo-palestinese, dopo che il “documento dei prigionieri”, era stato sottoscritto anche da Hamas, e nuovi spiragli diplomatici erano stati aperti anche da parte israeliana.
A questo scopo Damasco non ha esitato a utilizzare, il leader di Hamas all’estero, per stoppare l’approccio più realistico perseguito, all’interno, dal Premier palestinese Hanieh.
Sul versante libanese, d’altro canto, la Siria, costretta al ritiro dopo l’assassinio di Hariri, vuole dimostrare che il paese è ingovernabile senza la sua presenza.
L’Iran, dal canto suo, ha utilizzato la crisi per distogliere l’attenzione della Comunità internazionale dal suo contestato programma atomico, per riproporsi alla testa della crociata contro “l’Entità sionista” e per riaffermarsi essenziale attore del panorama regionale.
L’asse Hamas –Siria – Hezbollah – Iran ha dunque funzionato a pieno ritmo, allargando di fatto la crisi ad una scala regionale.
D’altronde, in Libano, Israele con il suo ritiro dell’agosto 2000 ha pienamente adempiuto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, come è stato ufficialmente riconosciuto dalla stessa ONU. Ma la successiva risoluzione ONU 1559 del 2004 ha chiesto espressamente, oltre al ritiro delle truppe siriane, il disarmo delle milizie armate libanesi, restando peraltro totalmente inapplicata.
Mentre esponenti di Hezbollah sono entrati in Parlamento e nel Governo, le sue milizie si sono attestate lungo il confine con Israele, su cui avrebbe dovuto essere dispiegato l’esercito libanese, ed hanno accumulato migliaia di razzi e di missili a corta e media gittata, con cui in questi giorni sono bersagliate le maggiori città del Nord israeliano, da Haifa a Nazareth.
Un aspetto particolare ma non secondario della questione è dato dal fatto che la piccola zona delle Fattorie di Shebaa, rimasta sotto controllo israeliano e rivendicate da parte libanese, non sono oggetto di rivendicazione territoriale da parte di Israele, che ne attribuisce la sovranità alla Siria, come anche l’ONU. Le fattorie costituiscono quindi l’oggetto di una disputa interaraba, la cui persistenza fornisce a Hezbollah l’innesco per continuare la lotta contro il nemico sionista.
Sarebbe interessante verificare se non sia possibile porre anche le fattorie di Shebaa, quel lembo di terra conteso, sotto il controllo ONU o anche sotto quello congiunto ONU – Lega Araba, in modo da azzerare definitivamente ogni motivo di contenzioso tra Libano e Israele.
Quello che è certo, è che dalla crisi attuale non si esce con un puro e semplice ritorno allo statu quo ante, ma affrontando i nodi, interni ed esterni, che hanno fatto esplodere la crisi.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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