L’Editoriale 

La tregua olimpica di Arafat

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:21 luglio 2004

La proclamazione di una tregua olimpica, da parte di Arafat, non sembra aver fatto molta strada, neanche tra i suoi sostenitori, impegnati in questi giorni in un aspro scontro fratricida, con molte vittime e molti feriti. E’ in atto un aspro regolamento di conti tra i diversi colonnelli che si contendono il potere in vista dell’annunciato disimpegno israeliano da Gaza, previsto entro il 2005.

Molti i fattori in gioco: gli egiziani, che temono che la striscia sprofondi nel caos dopo il ritiro israeliano, divenendo una base appaltata ai diversi movimenti terroristici legati ad Al Qaeda; gli israeliani, che rifiutano di negoziare il ritiro con l’Autorità Palestinese, e quindi preferiscono trattare con gli egiziani, che a loro volta trattano con Arafat, in una triangolazione non sempre efficace; la giovane guardia di Al Fatah, legata ai Tanzim e ai gruppi terroristici dei Martiri di Al Aqsa, che rivendica una democratizzazione del movimento in nome della lotta alla corruzione; Dahlan, già Ministro dell’Interno durante il Governo Abu Mazen, uomo forte di Gaza bene accetto agli egiziani e agli israeliani, che non ha esitato ad allearsi alla giovane guardia di Al Fatah per impartire una lezione agli uomini di Arafat; Hamas, che dopo i colpi subiti mantiene un basso profilo; l’ONU, che sta inasprendo le sue critiche ad Arafat, giunte all’apice, la scorsa settimana, con la relazione al Consiglio di Sicurezza dell’Inviato Speciale Terje Larsen, vecchio amico dei palestinesi ora dichiarato “persona non grata” dall’ANP; il sempre più evanescente Premier Abu Ala, che continua a rassegnare e a ritirare le dimissioni, senza riuscire a imporre una svolta al suo Presidente; e infine lo stesso Arafat, che vuole a tutti i costi mantenere il controllo delle finanze e degli apparati di sicurezza. Il leader palestinese pare alimentare scientemente il caos per affermare il suo ruolo di insostituibile arbitro e mediatore, ma ora pare aver spinto troppo avanti il gioco, e vede smottare sempre più profondamente il suo prestigio e la sua autorità, sorretti quasi più solamente dalla prigionia nella Mukata di Ramallah, imposta dagli israeliani.

Ma anche Sharon ha i suoi problemi. Privo di una maggioranza alla Knesset, dopo le dimissioni dei ministri del Partito Nazionale Religioso, che hanno rifiutato di avallare il suo piano di ritiro da Gaza e da quattro insediamenti in Cisgiordania, il Premier Israeliano ha deciso di aprire al Partito Laburista, con cui sono iniziati i negoziati per arrivare ad un Governo di Unità Nazionale.

La recente sentenza contro il Muro, pur respinta dal Premier, e la conseguente apertura del dibattito in sede ONU, non fanno che accrescere la pressione sul Governo israeliano, perché superi lo stallo e rilanci il processo negoziale.

Il negoziato appare tuttavia difficoltoso, sia per le resistenze interne al Labour, sia per la contemporanea decisione di Sharon di aprire negoziati con gli altri due partiti religiosi, il Sefardita Shas e Giudaismo Unito per la Torah, che ha aperto una grave crisi con lo Shinui, l’alleato di governo di matrice laica e antireligiosa.

Il tentativo di formare un Governo di Unità Nazionale viene d’altronde fieramente da Yaha, il nuovo partito di sinistra diretto da Yossi Beilin, coautore degli Accordi di Ginevra.

La latitanza degli Stati Uniti, impegnati nelle elezioni presidenziali, e il vuoto di direzione della UE, impegnata nel rinnovo dei suoi organi di direzione dopo le Elezioni Europee di giugno, determinano una situazione di vuoto, assai pericolosa, in cui possono inserirsi provocazioni anche gravi e crisi acute.

Israeliani e palestinesi non possono essere lasciati soli, a confrontarsi con la paura e l’odio.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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