L’Editoriale 

La finestra stretta

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 7 luglio 2003

La tregua di tre mesi dichiarata dai gruppi armati palestinesi (le brigate Al Aqsa la avrebbero dichiarata per sei mesi) ed il graduale ritiro dell’esercito israeliano da Gaza e dalle maggiori città palestinesi, a cominciare da Betlemme, insieme al blocco delle esecuzioni mirate dei capi dei gruppi armati palestinesi, all’avviata demolizione degli insediamenti illegali di coloni realizzati dopo il marzo 2001, e al previsto rilascio di un consistente gruppo di prigionieri palestinesi, per il momento paiono reggere.

La nuova speranza che sembra aprirsi in quella insanguinata regione sembra fondarsi anche su una nuova capacità di dialogo, di comprensione e anche di stima reciproca che pare essersi instaurata tra i due Premier, Sharon e Abu Mazen, e che a quanto si sa fa seguito a diversi incontri riservati svoltisi tra i due in tutti questi mesi.

A questo fa riscontro una crescente stanchezza delle due società.

Sempre più israeliani comprendono che ricercare la sicurezza solo in termini di repressione è illusorio e può solo aggravare le cose.

Sempre più palestinesi comprendono che la scelta di militarizzare l’intifada e di utilizzare la via terroristica dei martiri suicidi è stata perdente e li ha portati in un vicolo cieco, oltre a comportare costi terribili per le due parti.

E’ venuta maturando nelle due popolazioni una crescente ripulsa per la sempre più grave disumanizzazione del conflitto, per forme di lotta che sono arrivate a negare e calpestare lo stesso carattere del nemico in quanto essere umano: le bombe fuori dalle discoteche, rivolte contro i teen ager israeliani, le partorienti palestinesi fermate troppo spesso ai posti di blocco e impedite di accedere agli ospedali, con esiti sovente fatali per i loro bambini.

Lo stesso contesto regionale appare profondamente modificato, dopo la guerra in Irak. Se quel paese appare lungi dall’essere pacificato, sono tuttavia venuti a mancare i finanziamenti erogati da Saddam Hussein a favore delle famiglie dei martiri e lo stesso atteggiamento della Siria e dell’Iran si è fatto più prudente, mentre l’Arabia Saudita sta rilanciando la sua proposta di pace approvata dal vertice arabo di Beirut, nel marzo 2002.

La presenza diretta e massiccia dell’esercito USA, insieme a quello inglese, nell’area, rappresenta una realtà nuova, di medio periodo, destinata ad incidere profondamente sui rapporti di forza sul terreno.

Questo nuovo quadro regionale consente probabilmente ad Israele una maggiore elasticità di iniziativa e contestualmente in larga misura gliela impone, dato che gli alleati statunitensi non possono permettersi in questo contesto un protrarsi o un ulteriore aggravamento del conflitto israelo-palestinese.

Egitto e Giordania paiono svolgere un parallelo ruolo moderatore verso la parte palestinese. L’intervento egiziano è stato essenziale per convincere le diverse fazioni armate palestinesi ad accettare la tregua.

L’Europa, infine, ha svolto un ruolo essenziale per arrivare alla formulazione della Road Map, anche vincendo alcune esitazioni degli Stati Uniti.

Tale rilievo appare un po’ appannato in questa fase, per il ruolo predominante assunto da Bush, ma non è escluso che con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali statunitensi del prossimo anno esso sia destinato a crescere nuovamente, in tacita intesa con la stessa amministrazione USA.

La posizione più corretta, per l’UE, appare quella di una convergenza strategica con gli Stati Uniti, riservandosi degli spazi specifici di intervento.

In particolare, la vicinanza storica con i palestinesi e il sostegno economico loro elargito possono consentire all’Europa una positiva funzione moderatrice, soprattutto per imporre l’abbandono della violenza e della militarizzazione dell’intifada.

In parallelo con l’azione moderatrice che gli Stati Uniti stanno svolgendo su Israele.

Non si tratta di assumere una posizione di equidistanza: vi è un’occupazione in atto che deve avere termine. Questo al di là delle cause che portarono a tale occupazione, in seguito alla guerra dei sei giorni, e che videro certamente essenziali responsabilità arabe.

Ma è necessario tenere una posizione di “equivicinanza”, che tenga conto delle preoccupazioni ed anche delle esigenze più profonde delle due parti.

La tregua in atto è fragile ed è esposta a possibili provocazioni di ogni tipo, ma rappresenta certamente una finestra stretta di opportunità, che si apre su un’altra finestra stretta, la Road Map.

Di fatto, stiamo assistendo in questi giorni ai primi passi per l’implementazione di questa “Carta stradale” per la pace, presentata dal Presidente Bush a nome del “Quartetto” (Stati Uniti, Russia, Unione Europea ed ONU).

Il percorso che si delinea non è certo sicuro. Forti contraddizioni possono esplodere nei due campi.

All’interno dei palestinesi, il percorso dalla conduzione personalistica e autoritaria di Arafat ad una nuova articolazione dell’ANP, basata sul nuovo Capo di governo, Abu Mazen, su rinnovate strutture legislative liberamente elette, su una nuova Carta Costituzionale, appare irto di tensioni e anche di possibili scontri. Abu Mazen ha dimostrato fino ad ora di saper procedere con grande saggezza e senso della misura, ed anche con grande determinazione, sulla via della pace.

Il ruolo di Arafat appare certo ridimensionato ad un ruolo più di rappresentanza generale, ma egli conserva ancora sostanziali poteri e capacità di intervento nella vita palestinese: con ogni probabilità la volontà di emarginarlo totalmente, perseguita dagli Stati Uniti e affermata da Sharon, rischia di essere velleitaria e di complicare inutilmente la vita ad Abu Mazen.

Lo stesso Sharon, al suo interno, dovrà confrontarsi con le resistenze dell’ala più intransigente del suo governo e non è escluso che, con il procedere dell’applicazione della Road Map, alcuni dei partiti che oggi ne fanno parte decidano di uscirne, con il possibile rientro degli stessi laburisti e la creazione di un nuovo governo di unità nazionale.

Non è escluso che, prima di arrivare alla definizione del final status, previsto dalla III fase della Road Map entro il 2005, in Israele si debba andare ad un passaggio elettorale, che potrebbe tradursi in una sorta di referendum su scelte che potrebbero rivelarsi esistenziali per il futuro di quello stato.

Questo anche in considerazione della necessità, prevista dalla stessa Road Map, di risolvere anche con Siria e Libano il contenzioso ancora aperto, ed in particolare sulla questione del Golan siriano

Per evitare che il convoglio della pace, partito con tanta difficoltà, possa sbandare troppo presto, sarà essenziale una continua e determinata presenza internazionale e della stessa Europa.

Non è certo da escludersi la possibilità che da una funzione di monitoraggio internazionale si debba passare ad una vera azione di peace keeping, che rastrelli le troppe armi presenti tra la popolazione e imponga il rispetto degli accordi.

Il processo di militarizzazione delle due società, prodotto da due anni di intifada armata, è stato assai profondo e l’inversione di marcia può richiedere forze superiori a quelle dei due contendenti, in particolare nella oramai disarticolata società palestinese.

 

Le TAPPE DELLA ROAD MAP

 

La fase I.

Prevede la cessazione delle violenze e delle azioni terroristiche, da parte palestinese, con il contestuale avvio della riforma e della democratizzazione della Autorità Nazionale palestinese, con la organizzazione di elezioni libere e garantite e la promulgazione di una nuova carta costituzionale, con la ricostruzione delle sue forze di sicurezza; a fronte del graduale ritiro dell’esercito israeliano alle posizioni del settembre 2000, all’inizio dell’Intifada II, e del totale congelamento di ogni attività relativa agli insediamenti, incluse quelle connesse alla loro crescita naturale, come previsto dal rapporto Mitchell. Israele si impegna ad effettuare i passi necessari a normalizzare le condizioni di vita palestinesi, abbandonando il coprifuoco, facilitando la libertà di movimento per persone e cose e garantendo il libero accesso al personale delle organizzazioni internazionali.

Parallelamente, dovrebbe svilupparsi un intenso sforzo della comunità internazionale e dei donors per ripristinare l’economia palestinese.

 

La Fase 2.

La fase 2 ha come obiettivo la creazione entro il 2003 di uno Stato Palestinese indipendente con confini provvisori e con attributi di Sovranità, basato su di una nuova Costituzione.

In molti suoi aspetti, questa seconda fase ripropone ulteriori evoluzioni di elementi già individuati in precedenza. La Carta Costituzionale Palestinese dovrà essere completata e sottoposta all’approvazione delle competenti Istituzioni; inoltre, verrà formalmente insediato un nuovo Gabinetto Palestinese, votato alle riforme e dotato di poteri rafforzati. Il dialogo e la cooperazione in materia di sicurezza saranno ulteriormente implementati, così come il processo di normalizzazione delle condizioni di vita palestinesi.

Elemento di novità sarà l’organizzazione di una Conferenza Internazionale, indetta dal quartetto per supportare la ripresa economica palestinese, per riavviare il processo negoziale (sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale) tra Israele ed i paesi Arabi e per delineare un percorso destinato a condurre alla creazione di uno Stato Palestinese indipendente con confini provvisori. Una volta che questo Stato provvisorio verrà alla luce, il Quartetto si occuperà di garantirgli il massimo riconoscimento internazionale.

 

La fase 3.

Ultimo stadio della Road Map, nel quale viene previsto il definitivo accomodamento della questione, con l’avvio di negoziati volti al raggiungimento di un accordo sullo Status Finale entro il 2005.

Fatta salva la continuazione dei progressi in tema di sicurezza, riforme e normalizzazione della vita, il fattore principale sarà costituito dalla convocazione di una seconda conferenza internazionale, anch’essa indetta dal Quartetto, che avrà il compito di elaborare un processo teso al raggiungimento di accordi definitivi sullo Status Finale entro il 2005. In tali accordi verranno incluse le principali questioni ancora aperte, riguardanti i confini, Gerusalemme, i rifugiati e le colonie.

Verrà anche supportato il raggiungimento di accordi tra Israele e Siria ed Israele e Libano, in funzione di una Pace globale nell’area mediorientale.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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