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L’Analisi

Turchia. La goccia e il vaso

di Valeria Giannotta

Data pubblicazione:10 giugno 2013

I recenti avvenimenti di piazza Taksim a Istanbul e le proteste diffuse in larga scala nel resto della Turchia sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo. Gli scontri del primo maggio tra polizia e manifestanti; le proteste del bacio; il tentativo di bandire e limitare la vendita di alcolici senza dimenticare le numerose manifestazioni universitarie nei più noti atenei della capitale – sono tutti segnali di un disagio sociale che a Gezi Park segna la prima vera sconfitta pubblica del Premier Recep Tayyıp Erdoğan.

L’AKP con le sue origine islamiche e un’agenda economico-liberale é una storia di successo nella gestione della Turchia. Nei suoi dieci anni di governo, infatti, ha attirato un grande consenso sociale, che è sfociato nella vittoria delle elezioni politiche del 2011, marcando il successo della leadership e sfidando vincoli sistemici fino ad allora considerati intoccabili. La forza dell’AKP si é basata sostanzialmente nell’aver saputo cogliere il momento reagendo, almeno nei suoi primi due mandati elettorati, ai cambiamenti esterni e ai mutamenti del sistema e contribuendo a creare un nuovo corso nella gestione politica del Paese.

Il periodo di governo dei conservatori democratici può essere diviso in due fasi: il primo si avvia con l’ascesa sulla scena pubblica del 3 novembre 2002, in cui tutti gli sforzi sono stati concentrati all’”internazionalizzazione” del potere e sono stati segnati da una sorta di presa di confidenza con le strutture dello Stato e la burocrazia; mentre con il successo elettorale del 2007 si marca l’inizio dell’esercizio effettivo del potere, segnato da un maggior controllo dello spazio pubblico, incarnato dalla leadership particolarmente  carismatica di Erdoğan.

 

Se alla base del nuovo orientamento vi era la trasformazione di un movimento islamista da una politica strettamente identitaria ad un’apertura liberale che incoraggia e riconosce le diversità, negli ultimi anni le politiche sono state dettate da un eccessivo populismo e personalismo, che ancora oggi necessitano di esperienza per rafforzare il consenso e mantenere il potere.

Alla luce delle recenti dinamiche interne e del diffuso malcontento, provenienti soprattutto dai settori secolari medi alti della società, è opinione diffusa che il governo stia guidando la Turchia secondo le logiche di una maggioranza “conservatrice” che ha poco a che fare con il pluralismo democratico. Il dato certo é che la mancanza di un dibattito collettivo nell’elaborazione delle politiche riflette le logiche strutturali di un sistema a partito dominante, con una soglia di sbarramento del 10%, e la conseguente tendenza autoritaria del leader, che grazie alla crescita della sua popolarità limita l’elaborazione di politiche realmente inclusive e significative per il Paese.

 

Il controllo dei vertici ha infatti fatto sì che la gestione della cosa pubblica si assimilasse ai voleri di Erdoğan e alla sua capacità aggregante, cristallizzando nel tempo uno spiccato malcontento sociale. Quello che i fatti di Gezi Park hanno portato alla luce non é altro che l’urgente necessità di un equilibrio tra le diverse anime della Turchia e di una retorica politica che non si distacchi troppo dalle aspettative degli elettori e degli oppositori. Sebbene ancora oggi l’AKP sia il più grande partito della Turchia, lo stile e l’inclinazione espressi dal governo Erdoğan dimostrano una grande difficoltà nell’accomodare le richieste emergenti soprattutto dai settori liberali e della giovane ala di sinistra della società, esasperando la già profonda polarizzazione sociale e non implementando appieno quella decantata visone multidimensionale, da molti analisti percepita come un codice o modello di riferimento per le democrazie musulmane.

 

In questo clima di fermento, non è ancora chiaro quale sia il grado di commitment dell’AKP verso la democrazia intesa in senso sostanziale e non solo formale, e quanto e come questi nuovi musulmani riformatori abbiano interiorizzato i valori liberali, soprattutto se si considera il grande dominio esercitato da Erdoğannello spazio pubblico nazionale. Le pesanti misure fiscali imposte dapprima al gruppo editoriale Doğan Media, colosso dell’informazione turca, e i circa 70 giornalisti attualmente in carcere sono prova dell’intimidazione verso la stampa e dei limiti verso la libertà di espressione, preoccupazione peraltro già espressa dalle cancellerie europee nell’ultimo report riguardo l’avanzamento democratico del Paese. Tali dinamiche dimostrano la fragilità della fase di transizione vissuta attualmente dalla Turchia, testimoniando che la strada verso la piena maturità democratica è ancora in salita: soprattutto se si considera la necessità di un sistema di checks and balances davvero neutrale che possa davvero tutelare e equilibrare l’interpretazione del secolarismo.

Purtroppo negli ultimi anni la performance del governo al riguardo non è sempre stata impeccabile: lo zelo democratico connesso al processo di adesione all’Unione Europea ha subito un pericoloso rallentamento, mentre le principali policies riformatrici si sono concentrate essenzialmente sulla crescita economica, sulle questioni morali e sulla libertà di religione, sfidando in modo plateale i primi quattro articoli della Costituzione – che definiscono i fondamenti della Repubblica Turca – e contribuendo a far perdere all’AKP il supporto delle frange liberal-secolari.

 

Rimane la nota positiva dell’apertura democratica nei confronti dei curdi, che ha portato al ritiro del PKK dai territori turchi.  A questo c’è però da aggiungere che il messaggio inviato nelle scorse ora da Ocalan alla Turchia supporta l’azione pacifica dei manifestanti come espressione democratica, mettendoli in guardia dal rischio di manipolazione da parte di forza sovversive, mentre invita il governo Erdogan ad assumersi le proprie responsabilità nel processo di normalizzazione e di emendamenti costituzionali in corso per dar voce alle istanze provenienti dal sud est anatolico. E’ quindi ormai chiaro che l’AKP e prima di tutto il leader Erdoğan stiano diventando vittime del loro stesso successo e del consolidamento del loro potere come posizione dominante all’interno del sistema partitico.

 

A parte la fatica nel procedere delle riforme, la principale difficoltà del governo Erdoğan concerne l’interpretazione delle relazioni di potere e la mancanza di equilibrio, sia tra i membri legittimamente eletti e il popolo, sia tra il 50% che sostiene il governo e la restante metà che si sente sempre più alienata dalle politiche proposte. A livello politico sociale è un sostanziale fallimento, perché sebbene l’approccio conservatore democratico definisca la società come un’armoniosa unità delle differenze, prive di relazioni gerarchiche tra le sue parti, gli ultimi anni di politica dell’AKP hanno contribuito invece ad esasperare le divisioni a livello politico ed istituzionale, creando falle nel dichiarato tentativo di applicare politiche realmente pluraliste, tramite la trasformazione di alcune questioni particolari in parametri morali generali. Questo però non significa che il governo non sostenga la democrazia, ma sottolinea che un reale consolidamento democratico, basato su una strategia articolata e profonda, non può essere generato da un pragmatismo finalizzato solo alla vittoria elettorale e all’espansione del controllo politico sulla società. L’AKP con il suo pragmatismo ha inizialmente dimostrato di essere una forza democratizzante, anche se non ancora compiutamente democratica, mentre oggi accettare e riconoscere le diverse anime della Turchia in una logica inclusiva, senza aver la pretesa di controllare ogni aspetto della sfera pubblica, rappresenterebbe un valido viatico per continuare a guadagnare consenso e credibilità agli occhi dell’opinione pubblica interna e internazionale.

Se il consenso è sia un requisito fondamentale che il prodotto delle politiche democratiche, senza un’adeguata informazione e coinvolgimento del pubblico nella formulazione delle riforme legislative, da una parte si corre il rischio di accentuare le divisioni, dall’altro si finisce per favorire la mobilitazione delle componenti contrarie alle istanze conservatrici, che pure sono rappresentate da buona parte dei cittadini turchi.

 

D’altro canto, in mancanza di una reale alternativa di governo, gli avvenimenti in corso impartiscono una lezione anche all’opposizione, che dovrebbe adoperarsi per riformare sé stessa, promuovendo un’agenda politica che sia al passo con i tempi e meno blindata dietro un’interpretazione dogmatica della rivoluzione kemalista ed il principio  che la stabilità del Paese dipenda dall’esclusione di ogni possibile deriva religiosa dalla sfera pubblica: una logica che tende ad incrementare la sfiducia di gran parte della popolazione nei confronti della tradizionale struttura dello Stato. In assenza di un’opposizione che dia effettiva espressione al linguaggio della democratizzazione e aiuti la società – ed anche il governo – ad abituarsi alle norme e ai valori liberali, il rischio è quello di perpetuare una sorta di inerzia democratica.

 

Per evitare che la polarizzazione sociale si acuisca ancora di più e sfoci in pericolose derive è quindi opportuno che la politica turca si attrezzi con un apparato statale davvero democratico ed articoli in profondità i concetti liberali di modernità, tenendo in dovuto considerazione che il pluralismo democratico si basa prima di tutto sul riconoscimento anche da parte della minoranza della maggioranza, liberandola al contempo dai pregiudizi e mettendola nella condizione di tener conto delle richieste di ciascuno. In altre parole, solo evitando tendenze accentratrici e con un dialogo costruttivo con tutte le parti coinvolte, la Turchia potrà uscire da questa empasse politico-sociale in cui è arenata, per portare a testa alta il titolo di potenza emergente, protagonista di una crescita economica che la colloca tra i primi venti paesi più sviluppati al mondo.

 

*Valeria Giannotta, Ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali dell’Università Sabahattin Zaim di İstanbul.

NOTE SULL'AUTORE 

Valeria Giannotta

Dopo gli studi in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Milano, nel 2009 Valeria Giannotta si trasferisce in Turchia per completare il dottorato sul partito Akp. Docente universitaria a Istanbul, Gaziantep ed Ankara, oggi è un’affermata esperta di dinamiche turche. Per la sua obiettività di analisi nel 2017 è stata insignita dell’onorificenza Cavaliere di Italia dalla Presidenza della Repubblica italiana. 

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