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L’Analisi

Itamar e Roma

di Giorgio Gomel

Data pubblicazione: 18 luglio 2011

Itamar è un insediamento, circa 1000 abitanti, quasi 30 anni di vita; circa metà della sua superficie occupa terreni privati di palestinesi espropriati; è quindi illegale secondo la stessa legge israeliana (Rapporto Spiegel e Peace Now, Settlement Watch); l’ideologia che anima la sua gente è quella del radicalismo nazional-religioso.

Come altri insediamenti esso è un emblema dell’assurdità di “insediare” ebrei nel cuore della Cisgiordania accanto a centri densamente popolati di palestinesi. Un immane errore politico compiuto dai governi di Israele dalla vittoria elettorale di Begin nel 1977, ma di cui sono colpevoli anche i governi laburisti degli anni successivi. I primi, minuscoli insediamenti erano concepiti come elementi di scambio nel negoziato con i palestinesi, nella logica di “territori in cambio di pace”. Sotto la spinta delle correnti più militanti del movimento dei coloni, essi divennero luoghi via via più grossi e popolati, di occupazione permanente e di quotidiana, violenta, frizione con gli abitanti palestinesi delle zone vicine. L’esercito di Israele è stato costretto così a un lavoro ingrato di protezione delle colonie con le conseguenti, pesanti vessazioni inflitte ai palestinesi, spesso vilipeso e aggredito dai coloni più oltranzisti che lo accusano di “favori” agli stessi palestinesi. Il parossismo è tale che proprio in questi giorni il Gen. Nitzan Alon, comandante della Divisione Giudea e Samaria, è oggetto di una feroce campagna denigratoria che lo paragona a Adolf Eichmann (sic!), lo insulta come “nemico della nazione” perché avrebbe detto qualcosa di “critico” su Itamar e sarebbe di “sinistra”.

Storia apparentemente lontana, ma che grava sull’oggi e sul futuro. Futuro molto incerto e angoscioso quello degli insediamenti come Itamar. Non sono prossimi alla Linea verde – i “settlement blocks” secondo il linguaggio ufficiale di Israele, come Modi’in Illit, Ma’ale Adumim, Gush Etzion – che potrebbero essere annessi a Israele in un accordo di pace in cambio di territori che Israele cederebbe allo stato di Palestina. Sarebbero disposti gli abitanti a uno sgombero pacifico con adeguati indennizzi finanziari? Sarebbero disposti, altrimenti, a vivere come cittadini ebrei di uno stato palestinese che ne garantisse parità di diritti e condizioni di sicurezza?

Il 18 maggio compare sul muro della scuola ebraica di Roma una scritta offensiva contro di me, in un luogo che dovrebbe essere dedicato al rispetto dell’altro e al confronto delle idee. È un atto di intimidazione. Con dolore e amarezza noto che un fondo di intolleranza ideologica inquina strati della Comunità di Roma. Lettere di membri di questa Comunità sul numero di giugno di Shalom, cariche di espressioni insultanti, lo confermano. Il Consiglio della Comunità ha espresso una condanna di questo atto e dell’offesa a me diretta. Ma gli autori non sono stati individuati. L’impunità è un pessimo esempio, soprattutto per le generazioni più giovani. Come garantire il civile confronto delle idee nella Comunità è il tema essenziale che essa deve affrontare una volta per tutte con serietà.

L’assassinio orripilante della famiglia Fogel, a cui vanno il mio affetto e cordoglio, doveva spingere a meditare, a ragionare, a un atto di shiva, non a un happening semifestoso. Altrimenti è pura, strumentale demagogia. Non critico la gente di Itamar di per sé. Sarebbe arrogante. Non conosco nessuno dei suoi abitanti. Critico la follia delle colonie, distruttiva per il futuro di Israele.

Quanto alla polemica sui “fratelli” e la “fratellanza”, vorrei evitare fraintendimenti, consapevolmente istigati da coloro che danno lezioni di moralità con grande sicumera, anche su “L’Unione informa”. Anche io penso che il genere umano sia tutt’uno e che gli uomini e le donne che abitano il pianeta siano fratelli. Mi pare un’ovvietà. Tanto più il popolo ebraico, unito da una storia fisica e spirituale comune, di fratellanza. Ma, detto ciò, il giudizio morale si rivolge all’azione concreta, che ognuno di noi ha il diritto-dovere di giudicare. Penso come Yossi Sarid – ex-deputato del Meretz – che sia difficile sentirsi “fratelli” di coloro che, ebrei come me, compiono atti di immorale violenza, espellono gli arabi da Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, incendiano i campi e abbattono gli ulivi dei loro vicini palestinesi, picchiano i soldati di Israele e gli urlano addosso “nazisti” quando questi impediscono le loro spedizioni punitive contro i palestinesi.

NOTE SULL'AUTORE 

Giorgio Gomel

Economista, è membro del Comitato direttivo di Jcall, un’associazione di ebrei europei impegnata nel sostegno ad una soluzione “a due stati” del conflitto israelo-palestinese. Il tema dei rapporti politico-economici fra l'Europa e Israele è stato ampiamente trattato in “Europe and Israel: a complex relationship”

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