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L’Analisi

Iran: sempre più un governo dei Pasdaran?

di Riccardo Redaelli

Data pubblicazione: 15 maggio 2007

L’incapacità dei governi del presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005) nel fornire risposte concrete alle richieste di liberalizzazione e democratizzazione del sistema da parte della vasta maggioranza della popolazione che lo aveva votato, le sue indecisioni nel contrastare l’azione di repressione dei centri di potere conservatori e anti-riformisti, la sostanziale autoreferenzialità sociale del blocco riformista, le deludenti politiche economiche, l’apparente scarso interesse per i ceti sociali più deboli, sono stati tutti elementi che hanno indebolito il sostegno elettorale al movimento riformista, favorendo una maggior visibilità e una crescita del fronte ultra-radicale, che era apparso – durante tutti gli anni ’90 – come definitivamente marginalizzato.
Questo senso di delusione e scoraggiamento ha favorito nel 2005 la vittoria del presidente ultra-radicale Mahmoud Ahmadinejad, fino ad allora poco conosciuto sindaco di Teheran, abile nel presentarsi come un presidente “del popolo” e non parte dell’impopolare sistema di potere iraniano*. La sua vittoria ha avviato un periodo di apparente rafforzamento delle correnti ultra-radicali, con l’occupazione di molte cariche, la radicalizzazione dei tradizionali temi propagandistici e ideologici della repubblica islamica. Una deriva radicale che ha tuttavia dimostrato di essere incapace di aumentare il sostegno presso l’opinione pubblica e la società civile iraniana. Gli ultra-radicali godono di uno zoccolo duro di sostegno, legato alle forze di sicurezza (pasdaran in particolare), alle vaste aree clientelari createsi attorno alle bonyad (le fondazioni), a certe scuole religiose (come quelle vicine all’ayatollah Mesbah-Yazdi, il mentore ultra-radicale del presidente), ma sono in ogni caso minoritarie. Il loro successo è stato favorito da una pluralità di fattori – non ultimo i condizionamenti e le pressioni di pasdaran e dei settori più conservatori dell’élite di potere – ma anche dalla “assimetria” del pendolo politico iraniano.
Mentre infatti le spinte per una riforma liberale della repubblica islamica iraniano sono risultate efficacemente frenate dagli ambienti conservatori – e in particolare dal rahbar (la Guida suprema del paese), l’ayatollah ‘Ali Khamene’i, che durante le presidenze Khatami ha bloccato ogni riforma sostanziale del sistema istituzionale – le oscillazioni post-Khatami con le spinte verso una maggior radicalità e verso un nuovo estremismo nazionalista e anti-occidentale sono state molto più difficili da frenare da parte della Guida, dato che esse non andavano contro le sue posizioni formali e contro la retorica ufficiale del regime, bensì si muovevano lungo i suoi solchi teorici e dottrinali.
In questi anni Khamene’i e il blocco di potere religioso conservatore hanno giocato da “elemento di freno” delle opposte spinte più radicali e da fulcro del variegato e frazionato quadro politico iraniano. Un fulcro tuttavia spostato su posizioni conservatrici, anti-riformiste, legato alla retorica khomeynista e ai temi della contrapposizione politica, ideologica e morale con l’Occidente.
In altre parole, mentre era facile per gli anti-riformisti denunciare i riformisti come dei nemici dei successi della rivoluzione e della repubblica islamica, gli ultra-radicali si sono rivelati molto meno frenabili dai complessi contrappesi interni al sistema di potere post rivoluzionario. L’accentuazione delle tematiche del confronto con l’occidente, dell’anti-sionismo, della difesa dei palestinesi, del ruolo regionale iraniano, del pan-sciismo e pan-islamismo (spesso temi di maniera, più predicati che realmente perseguiti nella repubblica islamica post Khomeynista) non potevano essere dismesse con la stessa facilità.
Il presidente Ahmadinejad e i gruppi che lo sostengono parlano il linguaggio politico usuale del ceto di potere religioso e usano le loro stantie formule retoriche. È diversa l’intensità, la radicalità e la determinazione da essi usata: per la prima volta da molti anni, la retorica anti-sionista e la difesa dei palestinesi – per fare un esempio – non è stata usata come elemento tattico nella competizione politica interna o regionale, bensì il presidente ha cercato di farla divenire un vero obiettivo strategico per Teheran. Lo stesso discorso può essere fatto per il confronto sul programma nucleare: la durezza e la rozzezza delle posizioni dell’attuale governo sono sempre più manifestamente discusse dal blocco conservatore, non tanto sugli obiettivi di fondo, ma sulla loro rigidità, percepita come controproducente.
Così, nella seconda parte del 2006, è emersa la preoccupazione del clero sciita e dello stesso rahbar nei confronti dell’avventurismo e della radicalità del presidente e del suo mentore, l’ayatollah Mesbah-Yazdi; preoccupazione che ha favorito il riavvicinamento fra il leader dei tecno-conservatori, il religioso Rafsanjani, e i riformisti; un riavvicinamento che appare non sgradito alla stessa Guida, come dimostrato nelle recenti elezioni per il rinnovo dell’Assemblea degli Esperti.
Il 15 dicembre 2006 si sono infatti tenute le elezioni popolari per il suo rinnovo. Quest’organo costituzionale è composto da 86 religiosi eletti ogni otto anni, che hanno il compito di assistere il rahbar e – in teoria – anche di supervisionarne l’operato. Come avviene per molti dei troppi organismi costituzioni del complicato impianto istituzionale della repubblica islamica iraniana, anche per quest’organo, la sua importanza reale varia a seconda dei momenti politici e a seconda delle personalità coinvolte.
L’Assemblea degli Esperti ha un ruolo teorico molto importante, dato che è l’unica che possa sindacare l’operato della Guida suprema, o addirittura possa “affiancarlo” nello svolgimento del concetto di velayat-e faqih. Khamene’i ha sempre controllato strettamente quest’organo, dato che al suo interno la quasi totalità dei membri è sempre stata vicina alla sua area politica e dottrinale. Molti dei religiosi membri, inoltre, avevano competenze teologiche e giuridiche indiscutibili, ma uno scarso peso politico.
Nel corso del 2006, invece, molti religiosi attivi politicamente (fra cui lo stesso Rafsanjani, e l’ex negoziatore con l’Europa per il nucleare, Rohwani) sono scesi in campo per partecipare alla competizione. Si è così fortemente accresciuto il valore politico di queste elezioni, con la creazione di fronti elettorali diversi.
In particolare, destava preoccupazione il gruppo degli ultra-radicali legati al potente ayatollah Mohammed Taqi Mesbah-Yazdi.  Questi ha creato una vasta rete di moschee e scuole religiose che si sono diffuse nel paese e mantiene profondi collegamenti con i pasdaran e le forze della sicurezza, fra cui milizie informali con gli Ansar-e Hezbollah. Soprattutto Yazdi sembrava puntare a una riduzione del potere dello stesso Khamene’i, sottolineandone velatamente la scarsa preparazione teologica, in favore di una gestione più collegiale dei suoi poteri da parte di un gruppo di grandi ayatollah. Una minaccia diretta al potere della Guida che, in prospettiva, avrebbe rafforzato gli ultra-radicali e permesso loro di modificare il regime iraniano, trasformandolo in un sistema populista-totalitario molto meno bisognoso di compromessi e accordi continui al suo interno come avviene ora.
Il riavvicinamento fra conservatori e riformisti e la maggiore politicizzazione della competizione elettorale a finito per mettere in difficoltà i candidati ultra-radicali, che nel passato avevano sfruttato proprio la frammentazione elettorale dei propri avversari o l’astensione dell’elettorato riformista per affermarsi.
I risultati hanno ridimensionato il fronte ultra-radicale, e dimostrato che – nonostante tutte gli sforzi della rete di moschee e madrase vicine all’ayatollah Mesbah-Yazdi – la lettura radicale, dogmatica e militante dei precetti sciaraitici e della teologia sciita è nettamente minoritaria nel paese. Il candidato più votato è infatti stato proprio ‘Ali Akbar Hashemi Rafsanjani – il grande sconfitto da Ahmadinejad nel 2005 e considerato l’avversario più potente del blocco ultra-radicale -; solo sesto l’ayatollah Mesbah-Yazdi.
Se la sconfitta elettorale ultra-radicale sembrava aver rafforzato il ruolo del rahbar Khamenei, ha stupito il suo basso profilo durante la vicenda della cattura dei quindici marinai inglesi, gestita apparentemente direttamente dai pasdaran e dal presidente Ahmadinejad. Quale che siano state le dinamiche reali e gli obiettivi, è chiaro il segnale lanciato dai pasdaran, ossia quello di reagire alla strategia statunitense di contenimento della presenza delle forze di sicurezza iraniane in Iraq (contenimento attuato anche con arresti e ‘sparizioni’ di funzionari iraniani) con una politica “to fight fire with fire”. Una politica di sfida forte, che ha riflessi anche in patria, fra i delicati equilibri del sistema di potere post-rivoluzionario, e che rende la politica iraniana ormai ostaggio di un processo di “securitization” che favorisce il ruolo delle forze di sicurezza, a svantaggio del tradizionale ceto politico religioso.

Note

*Secondo Amuzegar, egli era “…the least known, least experienced, and least personally and professionally attractive of the seven candidates allowed to run by the Council of Guardians….”. Jahangir Amuzegar, Khatami’s Legaci: Dashed Hopes, in “The Midle East Journal”, 60 (2006), n.1, p.58

NOTE SULL'AUTORE 

Riccardo Redaelli

Professore ordinario di 'Geopolitica' e di 'Storia e istituzioni dell'Asia' presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica del S. Cuore di Milano, nonché direttore del Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato (CRiSSMA) dell'Ateneo. Direttore del Master in Middle Eastern Studies (MIMES) dell'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) dell'Ateneo; Membro dell'Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa del Ministero de gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale (MAECI); Direttore scientifico del Centro studi internazionale di Geopolitica (Cestingeo) di Valenza; Editorialista del quotidiano Avvenire; Membro del comitato di direzione e scientifico della Rivista Storia Urbana; Membro del consiglio scientifico della Fondazione Oasis di Venezia; Membro del consiglio direttivo del Centro di ricerca di Lingua Araba (CARA), dell'Università Cattolica del S. Cuore; Membro del consiglio scientifico del Centro di ricerca sulla Cultura e Narrazione del Viaggio (CENVI), dell'Università Cattolica del S. Cuore; Membro del consiglio scientifico di Asia Maior; Membro del consiglio scientifico del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), di Milano; Membro del consiglio scientifico della Fondazione A. Volta di Como; Senior Analyst della società di consulenza Wikistrat.

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