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L’Analisi

Israele/Palestina. Convivenza sul terreno?

di Vittorio Dan Segre

Data pubblicazione:1 marzo 2006

La creazione del nuovo governo palestinese sotto la guida di un leader dell’organizzazione fondamentalista islamica Hamas, plebiscitata nelle recenti elezioni palestinesi, induce a riflettere su vari interessanti fatti. Il primo è la sorpresa. Ad esserne colti non sono stati solo gli americani e gli egiziani che a Gaza hanno sedi informative ufficiali ben radicate, ma l’intelligence israeliano, che queste elezioni seguiva minuto per minuto. Paradossalmente più di tutti sono rimasti sorpresi i dirigenti di Hamas stessi che si attendevano un successo ma non un trionfo che comportasse, assieme alla maggioranza assoluta dei seggi al parlamento palestinese anche responsabilità di governo per le quali non erano preparati.

Il secondo fatto è la banalità ridondante delle reazioni di tutti gli attori impegnati in questa fase del gioco. Gli Israeliani – con gli americani e parte degli europei – hanno reagito con la richiesta di riconoscimento di Israele come condizione sine qua non per la ripresa dei negoziati e la rinuncia al terrorismo. Non si vede perché uno stato sovrano esistente da più di mezzo secolo debba essere riconosciuto da una organizzazione terrorista. Se mai è Israele quando lo riterrà giustificato a riconoscere il governo di Hamas (non lo stato palestinese la cui legittimità è stata ammessa ormai da tutti). Ancora più ridondanti sono stati i tre “no” di Hamas – no al riconoscimento di Israele, non ai negoziati con Israele no alla pace con Israele – che risuonano come i tre no di Khatum voluti da Nasser nel 1967 dopo la sconfitta degli eserciti arabi nel 1967. Avrebbero dovuto ricordasi di cosa è rimasto dei tre no del pan arabismo.

Il terzo fatto è che la vittoria di Hamas viene ora presentata dagli analisti della situazione medio orientale (che una volta di più hanno dimostrato la loro capacità di premonizione) con due scenari opposti. Il primo é quello solito apocalittico (da dimenticarsi se le cose poi vanno bene e da rivendicarsi se vanno male). Prevede la creazione in Palestina di uno stato terrorista alimentato dai petrodollari iraniani in Palestina, che tiene sotto il tiro dei suoi missili i punti vitali di Israele e sotto il terrore dei suoi kamikaze la sua popolazione. Realizza il sogno arabo islamico di eliminare il cancro sionista dalla terra dell’Islam e, ricalcando i gloriosi sentieri di Saladino, da il via alla riconquista della Terra santa, primo passo dell’offensiva islamica contro “l’imperialismo, i suoi collaboratori, i cristiani e gli ebrei” secondo la formula della dichiarazione di guerra di Bin Laden.

Il secondo scenario ottimista è che il governo di Hamas nello stato ancora virtuale della Palestina segna il primo passo nella ritirata dell’offensiva pan islamica contro l’occidente, sconfitto attorno alla testa di ponte israeliana. Israele, come Vienna del XVII secolo sarà il campo di battaglia su cui si infrangeranno le illusioni espansionistiche islamiche e da dove comincerà il ripiegamento dell’invasione musulmana. La realtà sarà probabilmente alquanto diversa. Israele ha bisogno di uno stato palestinese perché ha compreso il costo economico politico e morale dell’occupazione permanente in un’epoca post coloniale. Cerca la sicurezza più della pace (quanti si ricordano che non esiste ancora una pace formale fra Russia e Giappone?). Hamas ancora prima di assumere le responsabilità di governo ha detto di essere pronto ad accettare una tregua di lunga durata con Israele. Non c’è bisogno di essere profeti per immaginare che Israele troverà un modus vivendi con Hamas se questi si saprà imporre la sua disciplina alle milizie di al Fatah e alle bande mafiose che tiranneggiano la popolazione da quando Arafat e gli uomini dell’OLP sono ritornati in patria grazie agli accordi di Oslo. E significativo il fatto che mentre il capo dei servizi di sicurezza israeliani affermava la settimana scorsa davanti ad una commissione parlamentare che Hamas rappresentava “una minaccia strategica per Israele” , giovedì 23 febbraio, il premier ad interim Olmert dichiarava il contrario dicendosi in disaccordo con l’esperto della sicurezza.

Dopo il fallimento degli accordi di Oslo Israele non accetterà certo di concluderne altri. Ma questa è una situazione che fa comodo a Hamas (secondo no ai negoziati) e che non è differente da quella esistente fra Israele e molti paesi a cominciare dalla Siria senza che per questo cessino i contatti ufficiosi di cui i servizi segreti si sono sempre accollati con gioia la responsabilità in concorrenza con le diplomazie ufficiali.

C’è però una possibilità che renda questa “tregua” (consolidata dall’estensione del muro anti terrorista in costruzione con molte aperture per regolare l’afflusso dei lavoratori palestinesi sul suo territorio) diventi irrealizzabile. La causa principale potrebbe essere lo scontro fra Hamas, elettoralmente maggioritario su al Fatah corrotto e umiliato ma maggioritario militarmente su Hamas. (Il rapporto di armati è di 1 a 10 anche se secondo lo Stato Maggiore israeliano un combattente di Hams vale 5 di Al Fatah). In altre parole, il pericolo di una resa di conti fra vincitori e vinti palestinesi.

Se questo non avverrà, l’avvento di un governo diretto da Hamas potrebbe rivelarsi più positivo di quanto molti non pensino. Anzitutto perché gli uomini di Hamas nel loro radicalismo religioso e nella loro convinzione dell’esistenza della superiorità strategica del terrorismo su quella degli eserciti regolari sono combattenti impegnati, disciplinati e devoti alla loro causa. In secondo luogo, perché Hamas ha bisogno di tempo e tranquillità per affermarsi. In terzo luogo, perché è molto più vulnerabile alle reazioni israeliane di al Fatah, in quanto organizzazione terrorista denunciata da tutto l’occidente e non in quanto “legittima resistenza” all’occupazione come al Fatah. Il suo successo elettorale non è dovuto ai suoi fatti d’armi (che non hanno piegato Israele ma decimato la sua dirigenza militare) ma alle reti assistenziali, educative, mediche, sportive, che Hamas ha creato attorno alle moschee per riempire il vuoto sociale e umano sviluppato dalle carenze politiche e dalla corruzione dell’OLP e della Autorità palestinese. Queste reti hanno bisogno non solo di quattrini ma di elettricità, acqua, strade, ospedali, scuole, merci, posti di lavoro, sviluppo economico che dipendono da Israele. Credere che Hamas metta tutto questo a rischio per il piacere di far saltare in aria qualche autobus israeliano, è un sottovalutare non solo l’intelligenza dei suoi capi ma il suo realismo nell’interpretazione di ciò che l’elettorato palestinese gli chiede.

NOTE SULL'AUTORE 

Vittorio Dan Segre

Diplomatico, scrittore e giornalista.

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