L’Editoriale

Gaza, asse Obama – Morsi

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 23 novembre 2012

È futile la discussione su chi ha vinto, col cessate il fuoco a Gaza: hanno vinto le popolazioni, e soprattutto i bambini, che almeno per un po’ di tempo potranno guardare il cielo senza provarne paura.

Israele ha dovuto trattare con Hamas, per mezzo degli egiziani, ed ha dovuto accettare una tregua che mette sullo stesso piano i suoi bombardamenti aerei e i razzi e i missili lanciati dalla Striscia; si è inoltre impegnato a negoziare sulla riapertura delle frontiere con Gaza. Netanyahu ha dovuto imporsi, respingendo i suggerimenti di Lieberman che chiedeva l’invasione via terra, e accettando quelli di Barak, che sottolineava i rischi e la provvisorietà di ogni intervento del genere. A due mesi dalle elezioni, il costo poteva essere troppo forte. Erano stati distrutti molti depositi di missili, era stato colpito duramente l’apparato militare di Hamas; gli USA avevano promesso nuove batterie antimissili e una più intensa collaborazione per contrastare il contrabbando di armi dentro Gaza. Questo doveva bastare.

D’altro canto, sarebbe stato difficile respingere la proposta di tregua, dato che essa non veniva solo da Morsi, ma anche da Obama (che pure fin dall’inizio ha sottolineato il diritto alla difesa di Israele di fronte ai missili che piombavano sul suo territorio). Il Presidente USA per tutti i giorni della crisi è rimasto incollato al telefono, con il leader israeliano ma soprattutto con quello egiziano. La conferenza stampa al Cairo, con cui si annunciava la tregua, vedeva fianco a fianco il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il ministro degli Esteri egiziano, Mohammed Kamel Amr, rendendo evidente l’asse strettissimo che si era creato in quei giorni tra i due paesi.

Non era stato sempre così. Come rileva il New York Times, gli USA avevano accolto con diffidenza l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani, ed Obama a settembre aveva condannato duramente all’attacco contro l’Ambasciata americana al Cairo, definendo l’Egitto un paese “né alleato né nemico”. Ben diverso il tono della Clinton, che ha affermato che “il nuovo Governo egiziano sta assumendo il ruolo di responsabilità e di leadership che ne ha fatto per tanto tempo un cardine della stabilità e della pace nella regione”. L’asse tra Stati Uniti e Egitto, che si è venuto creando in questi giorni, è destinato a incidere profondamente negli equilibri mediorientali, ed Obama sembra individuare in Morsi un interlocutore privilegiato per interfacciarsi con il mondo arabo in così profonda e tumultuosa transizione. Israele, in questo nuovo contesto, resta un alleato importante, che va garantito: ma un alleato meno esclusivo e meno costringente.

Quanto a Hamas, il bilancio non è certo in rosso: ha tenuto in scacco l’aviazione israeliana fino alla tregua e anche subito dopo; ha sfiorato con i nuovi missili di provenienza iraniana Tel Aviv e Gerusalemme; ma soprattutto ha definitivamente rotto l’embargo internazionale. Il suo leader, Meshal, si è incontrato al Cairo Morsi, Erdogan e l’Emiro del Qatar, Al Thani, mentre gli altri leader arabi e della stessa Lega araba facevano la coda per portare a Gaza la loro solidarietà. Hamas oggi è parte integrante e autorevole del consesso sunnita, ma si rivolge anche all’arco sciita, ed in particolare all’Iran, che il leader di Hamas ha ringraziato pubblicamente per l’aiuto, subito dopo la proclamazione della tregua.

Il controllo di Hamas su Gaza esce rafforzato dalla crisi, mentre diminuiscono le possibilità che la Striscia torni sotto il controllo dell’ANP. Il vero perdente, in tutta questa vicenda, rischia di essere il Presidente palestinese Mahmoud Abbas, che è rimasto fuori dall’uscio per tutto il corso della crisi, salvo una fugace missione della Clinton a Ramallah, ed ora si appresta all’appuntamento del 29 novembre all’Assemblea dell’Onu, ove si voterà la sua richiesta di riconoscere la Palestina come Stato non membro, nell’indifferenza generale e sotto le minacce degli USA e di Israele di bloccare l’uno i finanziamenti, l’altro il pagamento dei dazi doganali dovuti.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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