L’Editoriale 

La solitudine di Gaza

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:13 giugno 2007

La tregua interpalestinese, negoziata dagli egiziani a Gaza, non ha retto che pochi giorni: gli scontri tra Hamas e Fatah sono ricominciati in tutta la loro virulenza. I miliziani dell’organizzazione islamica hanno esteso i loro attacchi a diverse stazioni di polizia tenute dalle forze vicine ad Abu Mazen; anche a un ospedale è stato espugnato e messo sotto il loro controllo. I morti si contano a decine. Fatah minaccia e inizia a praticare ritorsioni contro Hamas in Cisgiordania. Cosa sta succedendo? E’ probabile che Hamas abbia tentato uno show down per prendere sotto controllo tutta la Striscia, esautorando non solo il Presidente ma lo stesso Governo di Unità nazionale che pure guida, ma che comincia probabilmente a stargli un po’ stretto.

Ma è quanto mai dubbio che ci riesca, le forze di cui Fatah dispone nell’area non possono essere neutralizzate facilmente. Il Presidente ha invitato le forze a lui legate a resistere e a reagire a quello che ha definito un tentativo di colpo militare per annullare la sua autorità.

La crisi del governo palestinese, che era basato sull’accordo della Mecca tra le due maggiori fazioni palestinesi, è d’altronde evidente. Esso era stato accettato da Hamas dopo molte esitazioni, per le sostanziose concessioni politiche che era stato costretto a fare: l’accettazione del Piano arabo di Pace, la richiesta di uno Stato palestinese entro i confini del ’67, l’impegno al “rispetto” degli accordi precedentemente firmati all’OLP, la delega a Abu Mazen a trattare l’accordo finale con Israele, che avrebbe dovuto alla fine essere sottoposto a referendum. Tutti questi punti erano stati accolti dalla leadership islamica, malgrado forti resistenze interne, nella speranza che ciò consentisse di porre fine all’isolamento internazionale e al boicottaggio economico del governo palestinese. Tutto ciò non è avvenuto, se non molto parzialmente. Anche l’Europa, malgrado qualche concessione verbale, è rimasta ancorata alle famose tre condizioni del Quartetto, e ha accettato, come gli USA, di avere a che fare solo con i ministri non appartenenti a Hamas, che ha continuato a sentirsi un appestato.

Il sostanziale stallo del nuovo governo, d’altra parte, ridava fiato anche alle componenti più oltranziste di Fatah, che hanno sempre pensato che la vittoria islamica alle elezioni era sostanzialmente abusiva e fortuita, premendo per nuove elezioni.

Ho chiesto a Sufian Abu Zeida, già Ministro per i prigionieri e esponente di spicco di Fatah a Gaza, che proprio per questo ha dovuto subire gli insulti e le aggressioni di Hamas, cosa pensasse di tutto questo. Egli si trova, come chi scrive, a Firenze, per il grande Forum organizzato dalla Regione Toscana, con la partecipazione di oltre 150 ONG israeliane, palestinesi e europee, e che è stato un importante successo.

Abu Zeida era grande amico di Jamal Abu-Jedian, personalità dell’ala militare di Fatah, assassinato nei giorni scorsi da Hamas. Ma la sua analisi è lucida: data la crisi del governo interpalestinese, gli sviluppi possono essere diversi: una nuova tregua negoziata dagli egiziani, che non si sa quanto durerà; coinvolgimento più diretto degli egiziani per ripristinare l’ordine: governo di emergenza e nuove elezioni; persino una possibile richiesta di Abu Mazen alla Lega Araba di prendere sotto il suo controllo la situazione a Gaza.

Ma alla base di tutto, afferma l’esponente palestinese, vi è l’urgenza di restituire un orizzonte politico alla situazione e alle possibilità di negoziato: l’alternativa è il rafforzamento di Al Qaeda, come sta già avvenendo nei campi dei rifugiati in Libano.

A questo riguardo l’unica proposta realistica è il Piano arabo di pace, recentemente rilanciato a Ryiad, che Israele dovrebbe accogliere senza precondizioni, e comunque l’Europa e gli USA dovrebbero fare propria e sostenere più decisamente: una valutazione – va detto – rilanciata anche dall’israeliano Avraham Burg, che il Forum toscano, che oggi sarà concluso da Prodi, ha fatto proprio all’unanimità.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

Leggi tutti gli EDITORIALI