Quando i pittori dicono “prima” intendono di solito l’aggettivo: la prima opera su tela; la prima galleria; quella personale antologica tutta per loro; la prima volta a Parigi. Giorgio Melzi intende l’avverbio: prima che Maestro, prima che pittore, prima che allievo. Uomo.

Uomo di Milano. Nato a due passi da un colorificio e per natura destinato ad assorbire colore. Cresciuto nella Brera dell’Accademia delle Belle Arti, come studente, e del bar Giamaica e di Tittailtabaccaio (tutt’attaccato), come sodale a condividere un bianchino e la previsioni del tempo e della vita con Bruno Cassinari, Roberto Crippa, Franco Rognoni, Piero Manzoni, Kodra, Remo Brindisi, Ernesto Treccani. Uomo di Milano, affermatosi nelle gallerie della città come esponente di spicco della sua generazione negli ultimi anni sessanta.

Ma uomo anche di Parigi, dove si trasferisce per un lungo periodo di ricerca, e d’Africa, immerso nella nobile civiltà Masai. Delle isole del Mediterraneo, delle coste liguri a strapiombo sul mare, così immense che una regione sola non le tiene e sconfinano in Toscana. Di Shanghai e della Spagna. Dalla sponda lombarda del Lago Maggiore dove il Museo Parisi-Valle di Maccagno ha acquisito una sua opera. Di ovunque sia stato esposto, collezionato, amato.

Di qualunque settore limitrofo al suo genio ch’abbia voluto e saputo esplorare: uomo visionario delle scenografie teatrali e televisive; delle creazioni dedicate al mondo della comunicazione; dell’arte a passeggio coi media. Uomo.

Profondo e sempre all’erta, attento alle dinamiche sociali e alle pulsioni dell’anima, che non teme di spaziare e divagare perché tanto non è questo che “mortifica l’arte e lo stile, ammesso che esista. Perché tanto – mi disse in un’intervista – l’arte t’incontra sempre e s’installa perpetuamente nel tuo pensiero, come le parole, la televisione, il caffè o i sentimenti. Se credi di poterne fare a meno, ti sbagli. Immagina la tua vita senza aver visto un quadro di Picasso, una statua di Michelangelo, un film di Fellini o una tela di Rothko, Pollock, Boccioni o di un Melzi, perché no. In fondo in 40 anni di lavoro qualcosa di mio s’è sparso per il mondo…

Volente o nolente, questa gente ti ha cambiato la vita, comunque tu la pensi, perché ti piacciano o non ti piacciano, che li adori o ti disgustino, tu in ogni caso non sarai mai lo stesso”.

Magari sarò, prima di tutto, Uomo.

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