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L’Analisi

Quando gli analisti stanno a guardare

di Alberto Negri

Data pubblicazione: 3 febbraio 2011

Gli esperti sui giornali si chiedevano ancora se il contagio tunisino si sarebbe propagato all’Egitto e già al Cairo scendevano in piazza. Per fortuna non li leggo e avevo prenotato l’aereo. La Tunisia è stata, in fondo, una sorpresa maggiore: qui in Egitto c’erano stati segnali forti di rivolta nel 2008, sono almeno due anni che la gente protesta e sciopera per i salari, i prezzi dei beni prima necessità, la terra, le case.

Chi frequenta questi posti o ci vive viene pochissimo ascoltato. I dispacci diplomatici, a parte quelli americani, sono desolanti. Persino il mitico Mossad ha fallito: non riesce a prevedere più niente.

I problemi economici e sociali di Paesi come Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto sono quelli da anni e nessuno è stato affrontato in maniera adeguata. C’è un 40-50% della popolazione che galleggia sulla soglia della sopravvivenza ed è resa ancora più vulnerabile da continue crisi interne e internazionali. I rapporti delle istituzioni internazionali, basate su statistiche generiche o fallaci, oscurano la realtà fino a occultarla. I dati sul Pil, ogni anno, partono a razzo e poi vengono regolarmente rivisti al ribasso.

Dragoslav Abramovic, ottantenne banchiere centrale serbo che riuscì ad abbattere un’iperinflazione del mille per cento al giorno, lo intervistai nel ‘94 mentre stava andando a fare la spesa al mercato: “Non mi fido delle statistiche – disse – tutti i giorni controllo di persona i prezzi”. Era stato alto funzionario della Banca mondiale e quell’anno un sondaggio lo elesse banchiere dell’anno. Fu licenziato da Milosevic poco dopo, quando si rifiutò di stampare altra carta moneta.

Questi regimi arabi sono marcescenti da decenni con leader aggrappati al potere fino all’ultimo respiro. Alcuni presentano preoccupanti sindromi bipolari: Gheddafi ha esaltato Ben Alì per una settimana, poi ha rilasciato un’intervista per acclamare la rivolta dei tunisini. Qualche dubbio dovrebbe insinuarsi sulla tenuta di un leader che si è proposto a Roma, nell’agosto scorso, con una carnevalata inaccettabile. Ma per soldi e interesse ci si rifiuta persino di guardare la realtà in faccia.

Il meno indegno di tutti è Bouteflika in Algeria. Lui ha salvato il Paese affidandosi ai generali ma ha una certa legittimità politica; era ministro degli Esteri a 25 anni, alla fine della guerra anti-coloniale, e poi dopo Boumediene per 20 anni è stato ai margini del potere: non ha mai rubato, ha solo permesso che lo facessero altri. Ma ora è anziano e malato, non si vede un successore.

Perché si commettono errori di valutazione così clamorosi? Il primo è il conformismo: siccome questi autocrati combattono l’islamismo radicale si pensa che bisogna sostenerli comunque. In realtà sfruttano l’islamismo per restare in sella e anzi lo alimentano con regimi illiberali, antidemocratici e talmente corrotti che giustificano l’esistenza e la propaganda dei gruppi fondamentalisti.

Non solo, soffocano ogni dissenso dei partiti laici e della società civile tagliando le gambe a ogni alternativa vera che non sia quella di partiti di ispirazione religiosa che possono comunque sopravvivere all’ombra delle moschee.

Persino dopo avere fatto tabula rasa degli islamici come in Tunisia e in Libia continuano a vessare la popolazione: ecco perché il nostro Colonnello, dopo Ben Alì, sente franargli la terra sotto i piedi. Per liberalizzare il Paese ha mandato avanti il figlio Seyf con scarsi risultati, contrastato dal suo stesso governo in una lotta di potere, di interessi economici e tribali che finiranno per strangolare il Paese.

Perché ci sbagliamo così tanto? Gli errori è bene dirlo subito nel corso della storia sono stati eclatanti anche da parte di personaggi di grande qualità intellettuale. Il più grande esperto di Medio Oriente, Bernard Lewis, in compagnia di uno stuolo di diplomatici e analisti, non prevedeva la caduta dello Shah nel 1979. Uno dei migliori editorialisti italiani degli ultimi 50 anni da ambasciatore si sbagliò su Gorbaciov e il crollo dell’Urss. Questo però toglie poco al loro prestigio.

Il dramma sono intere amministrazioni di grandi potenze, dotate di mezzi sofisticati che partoriscono, insieme a montagne di carta, il classico topolino. Nel 2004 incontrai nella Green Zone Baghdad i tre maggiori esperti finanziari americani, tutti banchieri di primo livello, di cui ho conservato gelosamente il biglietto da visita, che mi chiesero: “Lei ha una carta di credito? Bene, si prepari perché tra qualche giorno potrà prelevare contanti da un Pos in Sadoun Street”.

Ero perplesso: da 30 anni in Iraq non veniva accettata una carta di credito ma soprattutto mi aspettavo, come molti altri colleghi, una rivolta delle milizie sciite di Muqtada Sadr. Due giorni dopo la rivolta esplose e in Sadoun Street giaceva abbandonata e scassinata una cassaforte divelta dal caveu di una banca.

Qual è il problema? Illudersi di sapere, dare spazio a presunti esperti che parlano di cose che non sanno e di luoghi che non conoscono perché, anche quando ci vivono, stanno chiusi nei loro compound. Intere legioni di giornalisti e diplomatici che si passano gli stessi indirizzi e fanno sempre le stesse interviste, senza macinare chilometri con le scarpe, faticoso e poco elegante: si suda.

Non siamo soltanto giornalisti, diplomatici, scrittori, siamo anche cittadini e lettori: dobbiamo chiederci se vogliamo sapere oppure no. Non basta Internet, ovviamente ormai basilare, per conoscere bisogna anche avere voglia di cercare e soprattutto di ascoltare, magari anche gente umile e non soltanto banchieri ed esperti che soltanto “dopo” vengono a raccontarci cosa è successo.

La nostra televisione e i nostri giornali sono pieni di bellimbusti di questo tipo: raramente per esempio vedo intervistare uno come Bernardo Valli che a vent’anni stava in Indocina nella Legione Straniera e a ottanta a Baghdad. Ha visto e raccontato tutto: in un altro Paese sarebbero onorati di averlo come opinionista. E ci sono qui al Cairo e in Medio Oriente arabisti giovani e anche meno giovani che vengono ignorati dai mass media perché scomodi: raramente fanno le lodi di questi regimi con i quali siamo in affari. Fortunatamente li conosco e leggo le loro opinioni su blog come quello di Paola Caridi.
L’Egitto era ampiamente noto che fosse in crisi. Leggo in un articolo del 2008 pubblicato sul sito Medarabnews e tradotto anche in italiano: «Se alcuni fra i sostenitori del liberismo selvaggio guardano a queste nuove città dai palazzi abbaglianti e dai giardini rigogliosi, con campi da golf e centri commerciali, come a una manifestazione di sviluppo e crescita del potere d’acquisto nella società, i sostenitori della giustizia sociale vedono in esse una spaventosa provocazione sociale e un’evidente anomalia economica che concentra la ricchezza e il potere nelle mani di una ristretta classe di uomini d’affari, e spinge la schiacciante maggioranza della popolazione verso la povertà, la frustrazione e l’estremismo».

Il signore che scrive non è un rivoluzionario anti-Mubarak ma Salah Eddin Hafez, vicedirettore di Al Ahram, il principale quotidiano controllato dallo stato e dal potere. Sapevano loro e sapevamo anche noi che prima poi qualche cosa sarebbe successo. Il problema è: quando?

NOTE SULL'AUTORE 

Alberto Negri

Alberto Negri è stato inviato speciale per "Il Sole 24 Ore" per il Medio Oriente, l'Africa, l'Asia centrale e i Balcani dal 1987 al 2017. Come corrispondente speciale, ha coperto la maggior parte dei principali eventi politici e di guerra degli ultimi 30 anni, dalla guerra Iran-Iraq all'Afghanistan (1994-2001-2015), dalle guerre dei Balcani a Sarajevo, Kosovo, Croazia, Serbia, a Baghdad 2003, dall'Algeria 1991 alla Siria 2011-2016, dalla Tunisia 2011 al Cairo e Tripoli 2015, la Turchia per 25 anni. In Africa ha coperto il Sudafrica, il Mozambico, l'Eritrea, l'Etiopia, la Somalia, il Kenya, il Senegal, il Mali, la Mauritania, il Marocco. Nel 2007 ha vinto un premio nazionale come reporter di guerra, nel 2009 ha vinto il premio giornalistico internazionale "Maria Grazia Cutuli", nel 2015 il premio "Colombe per la pace". È autore di saggi e libri. Il suo ultimo libro "Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente" è stato premiato con il Premio Capalbio.

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