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L’Analisi

Mondo arabo: economia e crisi di regime

di Franco Zallio

Data pubblicazione: 3 febbraio 2011

Nelle rivolte che si stanno diffondendo nel mondo arabo mediterraneo i fattori economici giocano un ruolo di secondo piano. Certamente la disoccupazione, l’aumento dei prezzi dei prodotti di base, le forti diseguaglianze sociali hanno contribuito a creare il contesto da cui le rivolte hanno preso le mosse, ma le manifestazioni di questi giorni hanno poco in comune con le numerose “rivolte del pane” degli scorsi decenni: questa volta viene direttamente presa di mira la legittimità del sistema politico e delle elite di governo.

Per quanto svolga un ruolo secondario, l’economia sarà certamente influenzata – tanto nel breve che nel medio e lungo termine – dagli sviluppi politici in corso. Mentre scriviamo, la situazione tunisina sembra mostrare una certa stabilizzazione, sulla base di un percorso di transizione avviato con decisione sebbene in un contesto ancora confuso e in cui numerose questioni restano irrisolte. L’esito della rivolta egiziana è invece ancora assai incerto. Qualunque siano i futuri sviluppi politici, le economie di questi due paesi – e, direttamente o indirettamente, anche quelle degli altri paesi arabi mediterranei – sono già state colpite da una serie di fattori negativi che si ripercuoteranno almeno sul resto dell’anno. L’impatto economico di breve periodo è dunque certamente negativo. Quanto alle conseguenze nel medio e lungo termine, il loro segno è ancora incerto e dipenderà dall’evoluzione politica della crisi.

Nel breve termine l’impatto economico negativo è dovuto all’assommarsi di una serie di fattori: le interruzioni della produzione in numerosi impianti, specie quelli di società a capitale estero; il forte deflusso di capitali esteri e la fuga di capitali locali, che alimentano una consistente svalutazione; il rafforzarsi delle già consistenti pressioni inflazionistiche, causato dalla svalutazione e dagli accaparramenti a scopo precauzionale; il calo delle entrate turistiche; l’aumento del deficit pubblico, dovuto soprattutto alla crescita dei sussidi ai prezzi dei beni di prima necessità e all’aumento degli interessi sul debito pubblico. Trattandosi di economie che crescevano al 5-7% l’anno e avevano accumulato rilevanti riserve valutarie, l’impatto negativo è per il momento sostenibile sul piano finanziario.

Più rilevanti – ma anche assai meno prevedibili – sono gli effetti di medio e lungo termine. Il centro dei futuri sviluppi economici riguarda le politiche economiche, e in particolare la loro capacità di riattivare l’afflusso di capitali esteri e stimolare il rimpatrio dei capitali locali che oggi stanno fuggendo all’estero. In questione sono dunque le riforme economiche che, con intensità e risultati diversi, tutti i paesi mediterranei hanno attuato nell’ultimo decennio. La variabile centrale è la relazione tra potere politico, mondo degli affari e tecnocrati. Da questo punto di vista, le vicende di Tunisia ed Egitto sono piuttosto differenziate.

L’accaparramento delle risorse nazionali da parte del clan familiare dell’ex presidente Ben Ali è stato un elemento centrale della rivolta mentre le riforme economiche degli ultimi anni non sono state poste in discussione come tali, ma soltanto in quelle applicazioni che hanno consentito benefici privati alla famiglia di Ben Ali. A indicazione dell’intenzione di non abbandonare le riforme economiche, il nuovo governo tunisino ha nominato a governatore della banca centrale Mustafa Nabli, già capo economista per il Nord Africa e Medio Oriente della Banca Mondiale, personalità che dovrebbe garantire la continuità di fondo delle politiche di liberalizzazione economica perseguite negli scorsi anni.

In Egitto il nesso tra regime politico, classe imprenditoriale e tecnocrati è stato molto più stretto: le riforme economiche, che vennero avviate nel 2004 dal governo Nazif, sono state promosse e gestite da un gruppo di tecnocrati e imprenditori prestati alla politica strettamente legati a Gamal Mubarak, a lungo ipotizzato come successore del padre alla presidenza egiziana. Le riforme economiche sono quindi state maggiormente “contaminate” dalla connessione con il clan Mubarak e una loro prosecuzione – anche liberata dagli elementi che hanno fatto spazio a corruzione e nepotismo – è perciò assai a rischio. Le riforme economiche sono oggi attaccate tanto dall’opposizione, che le vede soltanto come un fattore che ha facilitato l’accaparramento delle risorse nazionali da parte di Mubarak e delle elite politico-economiche a lui vicine, quanto dal regime, che attribuisce all’eccessiva rapidità delle riforme economiche la perdita del controllo politico-sociale. Non per caso, dal nuovo governo nominato da Mubarak sono state escluse tutte le personalità del mondo degli affari e tutti i tecnocrati che hanno gestito negli scorsi anni le riforme economiche. Peraltro la gerarchia militare, oggi al cuore degli sviluppi politici, esibisce una visione socio-economica vagamente socialista, che contrasta con la liberalizzazione economica promossa da Gamal Mubarak e dai suoi sodali.

Le prospettive di medio e lungo termine dell’economia egiziana, e di riflesso del resto della regione, potrebbero dunque essere profondamente influenzate dagli sviluppi politici delle prossime settimane e dal loro impatto sulle politiche economiche. Da ciò dipenderanno anche le future forme di cooperazione tra nord e sud del Bacino Mediterraneo dopo il fallimento dell’Unione per il Mediterraneo, evidenziato dalle recenti dimissioni del suo segretario generale e dall’odierno imbarazzo europeo verso una istituzione la cui copresidenza è detenuta proprio da Hosni Mubarak.

NOTE SULL'AUTORE 

Franco Zallio

Consulente senior di Paralleli, esperto in  questioni relative all'economia e relazioni internazionali del Mediterraneo e del Medio Oriente. 

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