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L’Analisi

La solitudine di Israele

di Ugo Tramballi

Data pubblicazione: 3 febbraio 2011

«Per 32 anni», riflette su Yedioth Ahronot, il generale Giora Eiland, ex consigliere per la sicurezza nazionale, «Israele ha potuto fare le sue operazioni militari, due volte in Libano e almeno una in Giudea e Samaria, senza temere che questo avrebbe provocato una reazione militare egiziana. Non accadrà più se l’Egitto sarà controllato da un partito islamico radicale».

Per deformazione professionale, Eiland pensa al peggior finale possibile della rivoluzione al Cairo: l’islamizzazione. Ma comunque andrà in Egitto, chiunque prenderà il potere, per Israele non sarà più come prima: come in quei 30 anni “ideali” che coincidono con il potere di Hosni Mubarak, durante i quali Israele ha potuto fare tutto quello che ha voluto – compresi 20 giorni di bombardamenti su Gaza – senza che il più grande paese arabo muovesse un dito.

Nessun successore di Mubarak, fondamentalista o moderato, sarà più così accondiscendente con Israele. Dove si sono sollevate, le piazze arabe rivendicano libertà politiche e benessere economico. Questioni interne, dunque. Apparentemente si sono dimenticate di Israele e della questione palestinese. Ma non è mai accaduto per troppo tempo: prima o poi, soprattutto quando si sollevano, gli arabi vi tornano. Al quinto giorno di manifestazioni in piazza al Tahrir già molti gridavano a Mubarak di «scappare in Israele». Altri che a provocare la sommossa fosse stato il Mossad.

La questione è sotto traccia. La pace con Israele non è popolare fra l’opinione pubblica di qualsiasi paese arabo l’abbia fatta. E se non sarà la gente a ricordarselo, ci penseranno i loro leaders: è sempre stato così, il “nemico sionista” è la più rapida scorciatoia per unire la gente e conquistare consenso. Non necessariamente eventuali leaders dei Fratelli Musulmani. È possibile che il regime cerchi di sopravvivere candidando una personalità molto popolare come Amre Mussa: l’ex ministro degli Esteri egiziano, da 10 anni segretario della Lega Araba, non è affatto un amico d’Israele. Né lo sarebbe alla fine un moderato come Mohamed ElBaradei: in cerca di consenso, lo troverebbe usando la causa palestinese.

I servizi segreti militari israeliani già segnalano che dai tunnel alla frontiera di Rafah, sta entrando a Gaza una notevole quantità di armi. L’esercito egiziano è distratto dalla questione interna e Hamas ne approfitta. Ed ecco che, d’improvviso, lo scenario avanzato da Giora Eiland diventa una rivoluzione copernicana della geo-strategia regionale, anche senza che si arrivi ai Fratelli Musulmani al potere al Cairo.

Alla frontiera settentrionale d’Israele, Hezbollah è padrone del Libano; a Gaza c’è sempre Hamas; oltre i 200 chilometri di frontiera porosa con l’Egitto, non si sa; a Est c’è la Giordania, un paese intrinsecamente debole (almeno il 60% della popolazione è palestinese): a Nord Est la Siria, il più “affidabile” dei nemici d’Israele ma pur sempre un nemico. Come sovrapprezzo si può aggiungere la Turchia che ha rotto con Israele dopo una lunga intesa politica, economica e militare. Israele è di nuovo solo e questo è un fallimento. La terza Intifada che temeva potesse prima o poi scoppiare, non la faranno i palestinesi, prostrati e sconfitti dalle prime due. Se ci sarà, rischia di essere un’Intifada araba.

Quando la gente solleverà la testa dalle questioni interne e si rivolgerà di nuovo verso il nemico unificante, Israele occuperà ancora Gerusalemme Est, continuerà ad allargare i suoi insediamenti e a chiudere Gaza in una gabbia militare. Come prima. Ma ora con un mondo arabo diverso. È stato perso tempo decisivo, si è rifiutato di far avanzare il processo di pace con negoziatori palestinesi palesemente disponibili a compromessi importanti. Più che come un risolutore, si è visto Barack Omaba come un nuovo nemico d’Israele. Ed ora i nemici veri sono di nuovo alle porte.

In questi ultimi anni, soprattutto da quando governano Bibi Netanyahu e l’esecutivo più nazionalista, religioso e razzista della sua storia democratica, Israele si è chiuso un una specie di alta torre di cristallo. Il muro ha azzerato il fenomeno del terrorismo; la guerra di Gaza ha ridato orgoglio e sicurezza dopo il fallimento del confronto con Hezbollah; i palestinesi sono deboli e divisi, incapaci di sostenere una nuova rivolta; l’amministrazione americana è scomparsa dalla scena. Anche la gloriosa crescita economica, la più alta di un’economia occidentale, aiuta a costruire una convinzione di sicurezza che non esiste. La storia sta per ripetersi e quando accade non è mai per caso.

NOTE SULL'AUTORE 

Ugo Tramballi

Inviato speciale de Il Sole 24 Ore e responsabile del blog http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/ 

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