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L’Analisi

Un parco internazionale sul Golan?

di Giuseppe Cassini

Data pubblicazione: 5 luglio 2007

Da tempo si sapeva – e ultimamente se ne è avuta conferma ufficiale – che dal 2004 al 2006 si sono svolti dei “pourparler” molto discreti, non ufficiali, tra Siria e Israele: regolarmente smentiti dai due governi ogni volta che qualche giornalista curioso voleva saperne di più.
I “negoziatori” erano Ibrahim Suleiman (imprenditore siriano con passaporto USA) e Alon Liel (ex-Direttore Generale del Ministero Esteri israeliano), assistiti da Nicholas Lang, un diplomatico svizzero che aveva a suo tempo facilitato la stipula degli Accordi di Ginevra tra Yossi Beilin e Yasser Rabbo. Di questi colloqui erano al corrente i tre governi (Siria, Israele, Stati Uniti). Gli incontri di lavoro furono 8 e si conclusero nel giugno 2006 con un “non paper” di due pagine, i cui punti forti erano: 1) la restituzione alla Siria dell’intero Golan, salvo il diritto di accesso agli israeliani; 2) l’istituzione nella parte a valle di un Parco per la Pace a fini di protezione delle risorse idriche.
Negli ultimi anni Damasco ha ripetuto ai quattro venti di essere disponibile ad aprire negoziati di pace con Israele “senza precondizioni”. Pubblicamente Israele ha fatto sapere di essere altrettanto disponibile, a condizione che Damasco allenti i suoi rapporti con l’Iran e cessi di fornire aiuti militari a Hezbollah e Hamas. La risposta siriana, ovviamente non ufficiale, è stata sorprendente: queste richieste israeliane non vanno poste sul tavolo quali precondizioni, ma potranno annoverarsi tra i risultati finali del negoziato, dato che la conclusione di un trattato di pace modificherebbe inevitabilmente i nostri rapporti con Iran, Hezbollah e le organizzazioni palestinesi da noi oggi protette.
Di fronte a tanta flessibilità molti esponenti israeliani hanno storto il naso, sospettando che il regime siriano sia in realtà piuttosto interessato al processo negoziale che al suo risultato; a ciò Bashar Assad ha ribattuto: “Allora io dico a Olmert: faccia un tentativo, scopra il nostro bluff”. A maggio finalmente Olmert ha risposto inviando a Damasco messaggi di apertura tramite la diplomazia turca e quella tedesca. Il punto critico oggi è che Assad non vuole trattare direttamente con Israele bensì tramite gli Stati Uniti, dai quali spera di ottenere concessioni vitali per l’economia siriana (come l’abrogazione del Syria Accountability Act) e per il suo ruolo in Medio Oriente (un governo a Beirut che non sia antisiriano).

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Tra le iniziative di “confidence building” utili a rimettere sui binari il processo di pace siro-israeliano primeggia il progetto di fare del Golan, in tutto (1150 kmq) o in parte, un parco internazionale.
L’idea – in un contesto assai diverso – era germogliata durante la mia missione come ambasciatore italiano in Libano: precisamente nell’estate del 2000, dopo il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano. Salendo per la prima volta le pendici del Jebel Sheikh (il Monte Hermon dell’antichità), mi ero reso conto della straordinaria posizione e ricchezza idrica di quella montagna. Le sue vette sopra i 2500 metri allineate da nord a sud segnano il confine tra Siria e Libano; sul versante meridionale si apre la distesa del Golan, territorio siriano occupato dagli israeliani nel 1967. Si tratta di un vero e proprio “chateau d’eau” a cui si abbeverano Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania*.  La mia proposta – che nel 2001 presentai informalmente ai ministri dell’Ambiente di Libano e Siria – era che i due Stati firmassero un accordo bilaterale per la creazione di un Parco Internazionale, al fine dichiarato di preservare le eccezionali risorse naturali e idriche dell’acrocoro. L’accordo doveva esser depositato all’ONU, corredato di mappe che ne delimitassero il perimetro; ovvio che il perimetro avrebbe incluso anche gran parte del Golan occupato. Questa iniziativa ecologica avrebbe riscosso il plauso internazionale, senza consentire ad Israele di far obiezioni (se non quella, abusata, che il Golan ormai gli appartiene).
La proposta ha fatto un po’ di strada. Nel 2002 il Rapporto sul Medio Oriente redatto dall’International Crisis Group auspicava di creare una “riserva naturale”, limitata però alla parte bassa del Golan lungo il versante orientale del Giordano. Il “non paper” Suleiman-Liel concordato nel 2006 riprende l’idea e definisce quella riserva naturale – estesa alla maggior parte del Golan – un “Parco per la Pace ad uso comune di israeliani e siriani”. Lo scorso aprile l’International Crisis Group ha redatto il suo nuovo Rapporto “Restarting Israeli-Syrian Negotiations”, che contiene una vera e propria bozza di trattato di pace.
La clausola chiave si può riassumere in una frase: alla Siria viene riconosciuta la sovranità sul Golan e un accesso regolamentato alle acque, a Israele viene riconosciuta l’acqua e un accesso regolamentato al territorio. La Siria ritroverebbe i suoi confini pre-1967, ossia la sponda sinistra del Giordano e un lembo del lago di Tiberiade. Un Comitato Congiunto sulle Acque veglierebbe al buon uso delle risorse idriche (che comunque interessano meno alla Siria che a Israele, essendo quasi tutte a valle del territorio siriano). Il Golan verrebbe smilitarizzato sotto il controllo dell’UNDOF o di una forza multilaterale. I 20.000 drusi che da sempre vi abitano si ricongiungerebbero ai “fratelli” in Siria e i 20.000 coloni ebrei che vi si sono installati avrebbero la scelta tra restare o partire.
Ad ogni modo il progetto originario di creare un Parco Internazionale a partire dalle pendici settentrionali del Monte Hermon (in territorio siriano e libanese) non perde di importanza: va anzi integrato – quale preziosa misura di “confidence building” e di salvaguardia ambientale – nell’alveo dei preliminari di pace siro-israeliani, se mai vedranno il giorno in un prossimo avvenire.


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Si tenga presente che il 70% dell’acqua consumata in Israele ogni anno (2 miliardi di m3) proviene da sorgenti situate fuori dai suoi confine storici. Il Golan ne fornisce circa un quarto. Ma i costi di desalinizzazione marina con le tecniche moderne sono scesi fino a 60 cent. al m3 e quindi l’approvvigionamento idrico di Israele non è più una questione di vita o di morte.

NOTE SULL'AUTORE 

Giuseppe Cassini

Diplomatico italiano. Ha lavorato in Belgio, Algeria, Cuba, Stati Uniti, Ginevra (ONU), Somalia e infine come ambasciatore in Libano.

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