L’Editoriale

Dopo il congresso di Fatah è Jibril Rajoub il nuovo uomo forte palestinese

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 21 dicembre 2016

Il 7° Congresso di Al Fatah, iniziato a Ramallah il 29 novembre 2016, ha consacrato Jibril Rajoub come il nuovo uomo forte del movimento. Egli può essere considerato il vero trionfatore del Congresso, e può ambire alla successione di Abbas: è risultato secondo nelle elezioni per Il Comitato Centrale, massimo organo dirigente di Fatah, subito dopo Marwan Barghouti, il leader della seconda intifada detenuto nelle carceri israeliane, condannato a sette ergastoli e considerato il Mandela palestinese.

In passato capo dei servizi di sicurezza palestinesi in Cisgiordania, Rajoub ha passato 17 anni nelle carceri israeliane, imparando a parlare fluentemente l’ebraico. Da alcuni anni è presidente della Lega Calcio palestinese, e in questa veste ha sostenuto forti battaglie anche internazionali con Israele, per garantire l’agibilità per gli spostamenti delle sue squadre, ma soprattutto si è conquistato legami di massa e popolarità. Mi è capitato di incontrarlo a casa sua, circondato dai presidenti delle diverse squadre, quando ero andato per invitarlo a partecipare ai seminari promossi dal CIPMO in Italia.
Sostenitore della soluzione a due Stati, contrario all’uso della violenza e della lotta armata, ma al contempo fautore di una intensificazione della “resistenza popolare” contro l’occupazione israeliana, si è ripetutamente espresso a favore di un superamento delle divisioni interpalestinesi. Sintomatico al riguardo è stato il messaggio inviato dal leader di Hamas, Khaled Meshall, che ha espresso disponibilità al superamento della rottura in corso.

Rajoub ha storici rapporti con i servizi di sicurezza egiziani, e ha creato forti legami con gli Emirati e i Sauditi. È stato lui a invitare, nel giugno scorso, in una visita non ufficiale, il generale in congedo Anwar Eshki, dall’Arabia Saudita, che ha visitato anche Israele con una delegazione di accademici e uomini d’affari, e ha tenuto incontri con diplomatici e responsabili della sicurezza di alto livello e con parlamentari israeliani, nella Knesset, promuovendo il Piano Arabo di Pace. Anche se non si trattava di una visita ufficiale, era la prima volta che esponenti sauditi visitavano pubblicamente il paese.
Su posizioni critiche rispetto alla gestione del presidente Abbas, ha tuttavia ha deciso di giocare la sua partita in proprio, dentro il Congresso, separando il suo destino da quello considerato l’avversario principale di Abbas, Mohammed Dahlan, il leader palestinese già responsabile della sicurezza a Gaza prima del colpo militare di Hamas del 2007, appartenente alla nuova generazione di Fatah e di fatto il candidato alla leadership palestinese non solo del Quartetto arabo, ma anche di Israele.

Dahlan era stato espulso da Fatah, accusato di corruzione e definito un traditore da Abbas. Ma Fatah si è spaccato, e molti leader storici sono passati dalla sua parte. Egli inoltre può contare sui finanziamenti degli Emirati, e anche per questo ha recuperato anche un qualche rapporto con Hamas, che gli ha dato una certa agibilità politica a Gaza. Tuttavia, Abbas è riuscito a spezzare il fronte dei suoi critici, e ha convocato il Congresso lasciando fuori Dahlan e i suoi seguaci, che hanno dichiarato di considerare nullo il Congresso, ma sono rimasti isolati.
Rajoub invece ha condotto la sua battaglia dentro, dominando il Congresso e conquistando con la sua lista 14 dei 18 posti in palio per il Comitato Centrale. Al contrario, il delfino preferito da Abbas, lo storico capo negoziatore Saeb Erekat, è finito al 7° posto.

Quanto al presidente Abbas, egli è stato rieletto all’unanimità e per acclamazione presidente di Fatah, ma non può esserne definito il trionfatore: si trova stretto nella tenaglia costituita dallo stesso Rajoub e da Marwan Barghouti, la cui moglie Fadwa ed il figlio Qassam erano presenti al Congresso: Fadwa Barghouti è stata eletta al primo posto del Consiglio Rivoluzionario palestinese, il parlamento di Fatah.
Marwan Barghouti, secondo i sondaggi, sarebbe l’unico in grado di battere, in caso di elezioni, Hamas, Ma non pare che gli israeliani siano disposti a rilasciarlo dalle carceri. Sempre i sondaggi danno invece Abbas al più basso livello di popolarità, con il 65% dei palestinesi che pensano che dovrebbe lasciare l’incarico e dimettersi.

Abbas è riuscito tuttavia a preservare l’autonomia di Fatah, convocando il Congresso, dopo i numerosi rinvii imposti dal Quartetto arabo (Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti), che chiedevano una riconciliazione preliminare Dahlan. Lasciati fuori, Dahlan e i suoi seguaci hanno dichiarato di considerare nullo il Congresso, ma sono rimasti isolati.

Questo ha provocato le ire dei diversi Paesi arabi, che hanno considerato un affronto la sua scelta inviando rappresentanze al Congresso di basso livello e ora gli lesinano i fondi essenziali per tenere in piedi l’Autorità Nazionale Palestinese. La Giordania è arrivata a impedire l’arrivo dei delegati al Congresso residenti in quel Paese, minacciandoli se andavano di privarli della cittadinanza giordana.
Il Congresso ha riconfermato il suo sostegno al Piano Arabo di Pace, promosso dai Sauditi e approvato dalla Lega Araba a Beirut nel marzo 2002, che propone che tutti gli Stati arabi e islamici riconoscano Israele e stabiliscano rapporti normali di collaborazione con esso, se Israele restituisce i territori arabi occupati nel ’67 (con possibili scambi territoriali limitati e concordati nella proporzione di 1:1), consente la formazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est, e accetta una soluzione “equa e concordata (concordata quindi anche con Israele, ndr) del problema dei rifugiati”.

Una proposta che recentemente lo stesso Netanyahu ha dichiarato poter essere un importante punto di riferimento per la ripresa dei negoziati.I rapporti politici con Israele sono tuttavia ridotti al lumicino, mentre il suo governo sta portando avanti una politica volta a espandere gli insediamenti in Cisgiordania, facendo approvare in prima lettura una legge volta a legalizzare i cosiddetti “avamposti illegali”, embrioni di nuove colonie prevalentemente insediati su terre di proprietà palestinese, e che secondo ripetute sentenze della Corte Suprema israeliana avrebbero dovuto essere smantellati.
Va detto anche che, se i rapporti pubblici con il Governo israeliano sono pessimi, la cooperazione tra i due servizi di sicurezza funziona a tutto vapore, e non solo per evitare atti di terrorismo in Israele, ma anche per evitare che Hamas prenda il potere anche in Cisgiordania, approfittando della debolezza di Abbas, come già ha fatto nel 2007 a Gaza.

In questa situazione, la leadership palestinese sta preparandosi ad avanzare ad inizio gennaio una nuova proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di condanna della politica di espansione degli insediamenti israeliani, e spera che il presidente uscente Obama, di cui sono noti i pessimi rapporti con Netanyahu, e che fino all’insediamento del nuovo presidente conserva la pienezza dei suoi poteri, rinunci a porre il veto Usa. Tale possibilità preoccupa fortemente Netanyahu, anche se appare ai più di improbabile realizzazione.

In realtà, il conflitto israelo-palestinese è divenuto oramai marginale e residuale, nel vasto scenario mediorientale, ove tutta l’attenzione è concentrata sulle esplosive crisi di Siria, Iraq, Libia e Yemen e sul più complessivo conflitto in atto tra Arabia Saudita e Iran, e tra campo sunnita e campo sciita. Ora, si attendono Donal Trump e le sue scelte future.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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