L’Editoriale

Gerusalemme centro del conflitto

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:19 novembre 2014

Il sanguinoso attacco nella Sinagoga di Gerusalemme, per cui non si può che esprimere orrore e condanna, è stato il culmine di una spirale di incidenti che si sono sviluppati nella Città Santa, a partire dall’assassinio del giovane sedicenne palestinese ucciso e bruciato vivo da oltranzisti ebrei come reazione al rapimento e all’uccisione dei tre giovani coloni israeliani vicino a Hebron, nello scorso luglio. Poi era esploso il conflitto a Gaza, con le sue vittime e i suoi danni enormi, che hanno colpito più profondamente la popolazione della Striscia, pur non risparmiando la parte israeliana.

Questo continuo riaccendersi della spirale della violenza e del sangue non scaturisce dal nulla, ma fa seguito al collasso dell’Iniziativa del Segretario USA John Kerry, conclusasi a fine aprile provocando il crollo del processo di pace israelo-palestinese e la sostanziale ritirata degli Stati Uniti da quel teatro di crisi.

Pure, dopo la proclamazione della tregua a Gaza, si erano susseguite alcune notizie positive, che avevano fatto sperare per uno sviluppo positivo: l’accordo tra Israele, Autorità Nazionale Palestinese e ONU di metà settembre, che prevedeva la presenza di rappresentanti della ANP (Autorità Nazionale Palestinese) alla frontiera, operanti in stretto raccordo con rappresentanti dell’ONU, per evitare che i materiali da costruzione importati possano essere dirottati a fini bellici; subito dopo, l’accordo tra ANP e Hamas, propiziato dall’Egitto, per il ritorno della ANP a Gaza, con la presa di controllo dei valichi di frontiera; ancora, la riunione del Governo di Unità palestinese a Gaza, con il consenso di Israele che ha permesso che i Ministri provenienti dalla Cisgiordania passassero dal valico israeliano di Erez per raggiungere la Striscia;
Infine, la Conferenza dei donatori, svoltasi al Cairo il 12 ottobre, che ha assicurato finanziamenti per 5,4 miliardi di dollari (solo la metà tuttavia destinata a Gaza), rispetto ai 4 che erano stati richiesti dall’Autorità Palestinese. Occorrerà naturalmente vedere se alle promesse seguiranno i fatti, come l’esperienza passata largamente insegna, ma certo la mobilitazione è sembrata imponente.

Ma il management del conflitto non basta, se manca una prospettiva di soluzione. Le speranze di ritorno alla normalità si sono presto infrante di fronte alla continua escalation di tumulti e di scontri che ha avuto per suo epicentro Gerusalemme, ed in particolare la Spianata delle Moschee e l’intero “Holy Basin” nella Città Vecchia. I continui annunci di nuovi interventi abitativi a Gerusalemme Est da parte del Governo israeliano hanno certamente contribuito ad alimentare la tensione. A questo si sono aggiunte le iniziative provocatorie da parte di esponenti della estrema destra ebraica, interna ed esterna al Likud, compresi autorevoli membri del governo, volte a modificare lo Status quo esistente tra le diverse religioni.

Da queste iniziative sono scaturiti scontri con la polizia israeliana, che hanno causato morti e feriti tra i dimostranti palestinesi. Anche se il Governo in quanto tale ha ribadito di voler conservare inalterato lo Status quo, tutto ciò ha creato allarme nella parte araba della popolazione, ed anche a livello internazionale, tanto che per protesta la Giordania è giunta ad annunciare il ritiro dell’Ambasciatore.

A questi episodi ha fatto da contrappunto un crescendo di atti di aggressione contro cittadini della parte ebraica, con il tentato omicidio di un esponente della estrema destra israeliana, Yehuda Glick, (un aderente della setta del “Terzo Tempio, che vorrebbe spianare le moschee per ricostruire il “terzo tempio” dopo quello di Re Salomone distrutto dai Romani) e ripetute aggressioni mortali contro i passanti, per mezzo di automobili (la “car intifada”) o con accoltellamenti. Ed ora l’assalto alla Sinagoga di Gerusalemme.

All’origine di questi episodi vi sono sia situazioni individuali di frustrazione ed esasperazione, dovute alla cadute della speranza in una soluzione pacifica del conflitto; sia l’istigazione delle organizzazioni islamiche più estreme, come Jiad Islamico o lo stesso Hamas, in concorrenza con Fatah e con l’Autorità Nazionale Palestinese per estendere la loro influenza su Gerusalemme e sulla stessa Cisgiordania; sia lo stesso esempio di ISIS, che in una situazione ritenuta priva di prospettive può certo fare facilmente presa.

Va detto, infine, che gli scontri e le aggressioni, inizialmente concentrati su Gerusalemme, si sono venuti gradualmente estendendo alla Cisgiordania, in particolare a Hebron, e soprattutto nel nord di Israele, dove è concentrata la parte araba della popolazione del paese.

Si sta creando un vicolo cieco, e non a caso in Israele si comincia a riparlare di elezioni anticipate, causate dalle sempre più profonde divisioni tra i partner di governo, ma anche dal tentativo di Netanyahu di far leva sul clima di tensione e di paura per riunificare intorno a sé l’elettorato di destra e di centro.

In questo contesto, al di là delle generali dichiarazioni di condanna per l’attentato e di solidarietà giunte in queste ore, l’isolamento internazionale di Israele continua a crescere. Le relazioni con gli USA e con Obama sono al punto più basso, la Svezia ha riconosciuto lo Stato palestinese, il Parlamento inglese ha votato a favore del riconoscimento, seguito da Irlanda e Spagna, quello francese si appresta a farlo. E a livello Europeo si torna a parlare di possibili strumenti di pressione, a cominciare dall’etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti, anche se il nuovo Alto Rappresentante di Politica Estera della UE, Federica Mogherini, ha per il momento escluso questa ipotesi, annunciando una possibile iniziativa congiunta con i paesi arabi moderati.
Questa analisi è stata pubblicata su The Huffington Post.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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