L’Editoriale 

L’eredità di Sharon – intervista di Maurizio Debanne a Janiki Cingoli

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 6 gennaio 2006

Restano estremamente gravi le condizioni di salute del Primo Ministro israeliano Ariel Sharon che da mercoledì sera è ricoverato all’ospedale Hadassah di Gerusalemme dopo una emorragia cerebrale. Il mondo in ansia segue l’evolversi della situazione.
Quale sarà il futuro di Israele senza Sharon?
Maurizio Debanne lo ha chiesto a Janiki Cingoli, direttore del CIPMO.

Ci si interroga, oggi, su chi sia stato davvero Sharon. 

Sharon è stato un uomo capace di fare i conti con se stesso. Accusato di essere un oltranzista, un ultraconservatore, addirittura un macellaio, in realtà Sharon non è stato un ideologo, bensì un politico empirico, uno stratega, un militare. Basta vedere quale è stato il suo approccio sugli insediamenti. Quando, nella sua visione, questi erano necessari in chiave difensiva, non ha esitato ad impegnarsi per la loro costruzione e il loro allargamento. Ma quando ha capito che la presenza ebraica nella Striscia di Gaza non aveva più senso dal punto di vista strategico, militare e demografico, ha messo tutta la sua forza per realizzare quel piano di disimpegno che questa estate ha fatto abbandonare agli 8 mila coloni di Gaza le loro case. Sharon si era anche reso conto, come già prima di lui Rabin, che la pura repressione non era in grado di fare fronte alla questione palestinese, e di assicurare la sicurezza ad Israele.
Questo non significa che tutte le proposte di Sharon fossero giuste, o sufficienti. Si è trattato di un processo complesso, per molti versi ancora in corso. Questo non sempre lo si è compreso in Europa, dove si è passati dalla demonizzazione alla beatificazione del personaggio, senza mantenere la sempre necessaria capacità di valutazione critica.

Lascia un vuoto profondo.

Di certo Sharon non svolgerà più un ruolo nella politica attiva. Se sopravviverà potrà svolgere per così dire un ruolo da “padre spirituale” del paese e anche del suo nuovo partito, Kadima. La sua uscita di scena può avere comunque delle ripercussioni forti. Sharon è stato in grado fino a oggi di superare le resistenze interne, quando si trattava di prendere le decisini più difficili; il suo congedo lascia tutti più soli, e questo vale anche per i laburisti e per gli stessi palestinesi.
Kadima si ritrova però orfana del suo leader.

Su Kadima ci sarà per forza di cose una forte ripercussione, ma il processo avviato con la formazione del nuovo partito centrista è comunque sostanzialmente irreversibile. Per lo meno in questa fase cosi come anche la situazione di isolamento a destra di quel che resta del vecchio Likud. Infatti, la componente liberale del Likud, passata a Kadima non è disomogenea, ma rappresenta un’aggregazione formatasi nel tempo, attraverso la presa di coscienza della necessità di un nuovo approccio alla questione palestinese e alle questioni legate alla sicurezza di Israele. È dunque una visione che va oltre Sharon, anche se certo egli ha svolto una funzione essenziale. La formazione di Kadima corrisponde in realtà ad una esigenza\profonda del paese, che è stanco di estremismi ideologici, di sangue e di paura, e che vuple una pace che garantisca sicurezza.

Questo non significa che le proposte di questo partito siano di per sé sufficienti a raggiungere la pace, e in questo potrà giocare un ruolo essenziale la bilancia delle forze che si determinerà, dopo le elezioni, con il Partito Laburista, le cui posizioni sono certamente più aperte verso i palestinesi.
Sono questi due partiti, infatti, i perni essenziali intorno a cui si formerà il nuovo governo dopo le elezioni di marzo.

Chi raccoglierà l’eredità di Sharon?

Il successore di Sharon non sarà sicuramente Shimon Peres, che è una figura debole. Oggi nel Kadima esistono due personaggi in grado di rivestire un ruolo centrale. Il Vicepremier Ehud Olmert e il Ministro della Difesa Shaul Mofaz. Il primo è uno dei politici più intelligenti ed è caratterizzato da una notevole visione strategica. Mofaz è un uomo di grande esperienza militare.

E i palestinesi come stanno vivendo questi momenti?

Nei Territori c’è molta apprensione per ciò che sta accadendo in Israele, anche se non sono mancati gli episodi di festeggiamenti nelle strade. Tuttavia non mancano motivi di preoccupazioni per la situazione interna.
Il processo di costituzionalizzazione di HAMAS, con la sua partecipazione alle elezioni del prossimo gennaio, rappresenta sicuramente uno sviluppo positivo, anche se non scevro di contraddizioni. Si tratta certamente di un importante risultato fortemente voluto da Abu Mazen, che ha voluto ad ogni costo evitare un confronto militare con la formazione estremista, foriero di una guerra civile interpalestinese.
Questa partecipazione tuttavia rappresenta anche una sfida per Al Fatah, che attraversa una crisi profonda, segnata dall’aspro confonto tra la vecchia e la nuova generazione di questo Partito, che si raccoglie intorno a Marwan Barghouti, il dirigente della nuova intifada detenuto nelle prigioni israeliane condannato a più ergastoli.
Abu Mazen ha svolto una funzione alatlenante di mediazione, privilegiando tuttavia il nuovo, e questo ha portatao alla progressiva emarginazione dei dirigenti più legati al vecchio entourage di Arafat, raccolti intorno ad Abu Ala.
Al Fatah, di fatto, è un partito di gestione del potere, un po’ come il FLN algerino, che ha perso i collegamenti con la società, e corre il rischio di uno sfaldamento interno. Il tentativo di autoriforma interna appare l’unica possibilità di sopravvivenza, ma il tempo è davvero poco, e le elezioni sono vicinissime. Non a caso Abu Mazen spinge testardamente per un loro rinvio, che forse non sarebbe malvisto anche dagli israeliani.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

Leggi tutti gli EDITORIALI