L’Editoriale 

Fare davvero i conti col Partito di Dio

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:  26 agosto 2006

Mi pare stantìa la polemica su D’Alema a braccetto col deputato di Hezbollah: anch’io sono rimasto un po’ sorpreso quando ho visto la foto, ma probabilmente si è trovato in quella situazione, come lui stesso ha detto; o più probabilmente ha voluto contrarre una polizza sulla vita dei nostri soldati, o riallacciare i contatti per la liberazione dei soldati israeliani rapiti, dopo che lo sciita Nahbid Berri, presidente del parlamento libanese, inizialmente propostosi come mediatore, aveva dichiarato forfait. Sintomatica, al riguardo, la mancanza di reazione israeliana all’episodio, e le ripetute attestazioni di stima espresse da Tzipi Livni e dallo stesso Ehud Olmert.
Ugualmente fuori bersaglio mi sono sembrate le polemiche dei giorni passati sui compiti delle nostre truppe: persino Condoleeza Rice ha affermato: «Non credo ci si aspetti che Unifil disarmi fisicamente Hezbollah».
La questione è un’altra: che fare di questa organizzazione? Non è naturalmente in discussione il suo carattere fanatico, estremista e fortemente antisemita, direttamente influenzato dall’Iran, né la pericolosità delle sue attività terroristiche. Non si tratta certo di un movimento di liberazione nazionale visto che il Libano è stato già “liberato” dagli israeliani nel 2000 salvo i 25 km quadrati delle fattorie di Shebaa, precedentemente siriane, e ora affidate all’arbitrato di Kofi Annan.
Tuttavia, non si può ignorare il suo radicamento sociale e politico, che ne fa una componente certo non secondaria del panorama libanese.
Pensare di estirparlo con la forza, cancellandone la presenza, è irrealistico, significherebbe sprofondare il paese in una nuova guerra civile. Si può pensare ad una sua evoluzione, con l’abbandono o il superamento delle sue posizioni più radicali, analogamente a quanto viene ipotizzato, con grandi dubbi, per Hamas? Questo sviluppo non è certo sicuro ed è a rischio, anche per l’impronta sciita del movimento, (mentre Hamas è sunnita), ma non pare ci siano grandi alternative sul terreno.
L’unica via pare favorire una completa trasformazione di Hezbollah in partito politico, integrandone gradualmente le milizie nell’esercito nazionale.
Ma i soldati sciiti sono già il 60 per cento, anche se non gli ufficiali (in prevalenza maroniti e sanniti), e l’inclusione di queste nuove milizie, portatrici del prestigio acquisito contro gli israeliani, rafforzerà il peso di questa componente.
D’altronde, il leader di questa organizzazione, Nasrallah, si comporta oramai come un grande leader nazionale, panarabo e islamico, e sembra intenzionato a giocare a fondo questo suo ruolo nel contesto libanese, con l’appoggio dell’Iran, che lo ha fornito di ingenti mezzi per finanziare la ricostruzione, e della Siria. Il Libano è un paese in cui l’equilibrio di potere tra i diversi gruppi religiosi si basa sul censimento del ’39, oramai superato, ed in cui gli sciiti rappresentano in realtà tra il 40 e il 50 per cento della popolazione, e forse più. È difficile evitare a lungo una democratizzazione sostanziale, che farà probabilmente degli sciiti il gruppo dominante.
Ho difeso con convinzione su questo giornale, nei miei articoli sul conflitto, le buone ragioni di Israele, ma molte buone ragioni non fanno necessariamente una scelta giusta, e alla luce dei risultati forse quella di Olmert non lo è stata.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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